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Viaggio negli States sulle orme di “In America: Viaggi senza John” di Geert Mak.

Ottobre 20, 2020

Articolo e fotografie di Davide De Falco

Estate 2020. Bloccati negli States. Causa rinnovo visto e altre questioni burocratiche, nessuna possibilità di rientrare in Italia anche solo per qualche settimana. Unica soluzione per evitare di impazzire rinchiusi tra quattro mura? Viaggio on the road attraverso il paese. Borsa pronta, itinerario vagamente pianificato. Unico dilemma: quali libri portare? London, Kerouac, Steinbeck, tutti classici americani da tenere nel cruscotto della macchina come le bibbie nei comodini dei motel. Ma serve qualcosa di nuovo, una guida letteraria che possa accompagnarci nella visita di questo enorme continente. Serve un libro capace di ispirare, ma soprattutto di insegnare. La scoperta letteraria della stagione ha un nome: In America: viaggi senza John di Geert Mak. Scrittore olandese che nel 2010 ha deciso di ripercorrere le orme del famoso viaggio descritto da John Steinbeck in Viaggio con Charley, compiuto nel 1960 in compagnia del suo cane Charley.

Geert Mak compie un lavoro eccezionale. Si lancia a caccia di ogni singola tappa percorsa dal premio Nobel della letteratura Steinbeck, e racconta i cambiamenti storici e sociali avvenuti nel continente americano tra i due viaggi – uno del 1960 e l’altro del 2010. Quello che ci viene offerto è una narrativa dettagliata che aiuta a comprendere meglio la struttura della società americana. Le sue enormi città, i sobborghi nati nel secolo scorso, le grandi migrazioni del passato dalla costa orientale verso quella occidentale, sono tantissimi gli argomenti affrontati dallo scrittore-viaggiatore olandese. Il tutto raccontato in viaggio tra uno Stato e l’altro, andando a coprire oltre diecimila chilometri di strada.

Nei sobborghi vennero costruite nuove case con il giardino, la piscina e altre zone dedicate ai piaceri della vita familiare sul retro, e sul davanti solo il garage. Gli abitanti voltavano le spalle alla strada. I messaggi pubblicitari e la politica non miravano più alla folla nelle piazze, ma alla famiglia dentro casa. Le statistiche la dicono lunga: gli americani andavano sempre meno al cinema e a teatro, partecipavano meno a consigli e ad altre riunioni, dedicavano meno tempo agli eventi sportivi e agli incontri nei caffè, frequentavano meno i vicini. I funerali, da sempre avvenimenti che coinvolgevano il paese e il vicinato, diventarono un affare privato.

( “In America: viaggi senza John” di Geert Mak. Edizione “Ponte alle Grazie”)

Nebraska

Il suo è un apparato narrativo che offre al lettore lezioni di storia, di sociologia e di antropologia del continente griffato a stelle e strisce. Ogni capitolo è pieno di informazioni sugli Stati e le cittadine visitate da John e rivisitate da Geert, ma anche di analisi dei personaggi che hanno reso gli Stati Uniti quello che sono oggi. Ogni paragrafo offre uno spunto di riflessione diverso e invita il lettore a riflettere su quello che (non) conosciamo di un paese al quale siamo culturalmente esposti da decenni.

In America: viaggi senza John non appartiene solamente alla letteratura di viaggio. Si tratta di un lavoro trasversale. Farebbe bellissima figura nella sezione di narrativa storica, sugli scaffali di sociologia, o anche in bella vista tra i libri di antropologia contemporanea. Da leggere se si vuole viaggiare nello spazio e nel tempo attraverso gli Stati Uniti. Da portare con sé la prossima – o prima – volta che si visiterà gli USA, magari in coppia con Viaggio con Charley e lasciando in libreria qualunque altra pseudo guida turistica.

Piccola chicca: per il lettore del 2020 sarà profetico leggere alcuni passaggi scritti da Mak nel 2010 e trovare forti similitudini con il clima politico attuale degli Stati Uniti. Provare per credere: sostituire il nome McCarthy del prossimo paragrafo con Trump. Funziona?

“Di fatto l’operato di McCarthy provocò più che altro caos politico e guai per la vita privata di molte persone. Il suo «successo» si basava soltanto sui suoi slogan. La parola che lo designava non era ancora stata inventata, ma McCarthy era un maestro nel framing, tecnica che consiste nell’attenuare ogni situazione complessa e potenzialmente minacciosa con un paio di costruzioni verbali, riducendola a una falsità semplice e attraente. I giornalisti lo adoravano, perché era fonte quotidiana di notizie e citazioni belle e pronte, e loro si bevevano tutto, senza spirito critico. «McCarthy era un prodigio» lo avrebbe rievocato così uno di loro. «Le mie storie finirono immancabilmente in prima pagina per quattro anni». Fu, scrisse il suo biografo, il demagogo più abile della storia americana. Per il resto fu solo una forza distruttiva, un rivoluzionario senza visione, a rebel without a cause. E dalla sua parte aveva lo spirito del tempo, pieno di rinnovamento, confusione, incertezza.”

( “In America: Viaggi senza John” di Geert Mak. Edizione “Ponte alle Grazie”)

Monument Valley – Navajo Nation

Gli Stati Uniti del 2020 sono però un paese decisamente diverso da quelli visitati sia da Steinbeck che da Mak. Durante il nostro viaggio capita spesso di chiedersi cosa penserebbero o scriverebbero John e Geert se fossero on the road con noi quest’anno. Il nordest del paese è ancora bloccato dalla pandemia. Partiamo da Boston, città universitaria che conta trentacinque college, dove non vive praticamente più nessuno studente. New York è diventata un deserto; migliaia di persone sono scappate dalla Grande Mela e si sono rifugiate nei loro luoghi di origine, o hanno comprato case nei sobborghi di Upstate New York, Connecticut, o New Jersey per lasciare vuoti i loro appartamenti di Manhattan. A nessuno da queste parti viene in mente di lanciarsi all’avventura attraverso il paese, nonostante le pubblicità alla televisione invitino gli americani a riscoprire il fascino del viaggio on the road. Superata la Pennsylvania e arrivati in Ohio cominciano a scomparire le targhe del lontano Massachusetts. I campi di granoturco sono l’unico scenario che è possibile osservare fuori dal finestrino per centinaia di miglia. Tocca poi attraversare le tre I: Indiana, Illinois, Iowa. Il Midwest americano offre un contesto geografico e culturale completamente diverso da quanto visto nel nordest del paese. La pandemia che ha colpito il resto del mondo qui non sembra essere arrivata, o almeno non sembra aver cambiato le abitudini della gente. Ogni volta che entriamo in qualche negozio o ristorante indossando le nostre mascherine, veniamo guardati come degli alieni. In un pub del Nebraska dove andiamo a ritirare la cena ordinata online il proprietario ci dice I was about to get my gun when I saw you guys walking in here. I thought you were gonna rob me! convinto che le nostre mascherine servissero a nascondere le nostre facce prima di portare a termine una rapina. Ah, l’America!

In Wyoming giriamo tra una città fantasma e l’altra. Non sono molte le persone che camminano a piedi da questa parti. Incrociamo un veterano del Vietnam, in compagnia del suo cane. Ci racconta di una vita passata a guidare camion attraverso le grandi autostrade di questo paese dopo essere tornato dal Nam. Ha uno sguardo acceso, ed è affascinato dal nostro viaggio attraverso il paese in un periodo così particolare. Ci dice che hanno appena chiuso la chiesa che frequenta visto che diverse persone di recente sono risultate positive a that virus, you know what I mean. Ci consiglia che strada prendere per raggiungere Fort Laramie e ci salutiamo. 

Più avanti tra le strade di Casper, Wyoming, in un caldo pomeriggio di luglio ci sentiamo come nella Roma di Caro Diario di Nanni Moretti, ma a bordo di una macchinina giapponese piuttosto che di una Vespa. Il semaforo cambia continuamente colore tra il rosso e il verde per noi spettatori urbani e per diversi minuti non vediamo neanche l’ombra di una macchina nelle vicinanze. Incredibilmente, troviamo una pizzeria che mostra all’entrata il famosissimo simbolo della pizza verace napoletana. Dev’essere opera di San Gennaro, mosso a pietà da queste due anime che vagano perdute nella terra di nessuno. Deve aver deciso di far comparire un vero e proprio miraggio al quale per qualunque napoletano sarebbe impossibile dire di no. Tra l’altro, una delle pizze migliori mai mangiate fuori Napoli.

I Parchi nazionali del Wyoming sono pieni di turisti. Grossi macchinoni nei parcheggi di Yellowstone vomitano orde di famiglie verso le attrazioni più gettonate, a caccia del geyser da fotografare mentre getti d’acqua bollente volano verso l’alto, o delle mandrie di bisonti che attraversano la strada. Nei quattro giorni passati a macinare chilometri tra le foreste e le altre bellezze naturali incrociamo centinaia di persone. Bisogna camminare per ore per poter sfuggire alle mandrie umane sempre alle calcagna. La settimana dopo ci lanciamo verso i canyon e i deserti del sud dello Utah. Passiamo per la splendida Moab e i suoi parchi nazionali: Arches e Canyonlands. È un’America riaperta al business quella dei parchi nazionali. Forse l’unica che sembra funzionare quasi allo stesso modo degli anni passati. La natura offre a chiunque la speranza di isolarsi dal resto del mondo godendo degli spazi aperti infiniti e della mancanza di contatto con quel virus che sta sconvolgendo il mondo. Problemi a cui sia John che Geert non dovevano certo pensare.

Grand Teton & Jenny Lake, Wyoming

Quasi due mesi dopo, e oltre undicimila chilometri percorsi, la cavalcata attraverso questo enorme continente finisce. Tornati a Boston la malinconia da viaggio si fa sentire dal primo giorno. Ci mancano il colore bituminoso dell’asfalto, le praterie che si estendono in ogni direzione, non sapere dove finiremo a dormire ogni sera. È tempo di ripartire. Bisognerebbe scrivere un libro solo per poter parlare degli incredibili incontri e luoghi visitati in questo momento storico pazzesco. Nel frattempo direi che è forse tempo di rileggere Viaggio con Charley. Grazie per l’ispirazione Geert.

americaletteratura di viaggioStati Uniti
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