Dall’inizio della pandemia che stiamo vivendo, in molti hanno cominciato a parlare di Spillover. Giornalisti, scrittori e appassionati lettori ne consigliano continuamente la lettura per comprendere ciò che sta accadendo intorno a noi. L’ho ordinato con un librario a domicilio e, dopo aver letto, confermo le impressioni di quanti mi hanno spinto alla lettura: Spillover è non solo un grande libro ma è il libro dell’anno. Pubblicato nel 2012 (in Italia edito da Adelphi), dopo un lavoro durato sei anni, dal giornalista scientifico David Quammen, è un testo di oltre cinquecento pagine che ripercorre la storia delle epidemie, principalmente quelle dell’ultimo secolo. Nonostante i temi trattati, il linguaggio è accessibile e la lettura scorrevole e piacevole. Considerando anche il tempo che viviamo la terminologia ci è spesso, e purtroppo, familiare. Il lavoro di Quammen è straordinario per due motivi: il primo è la zelante ricerca sul campo che lo porterà da una parte all’altra del mondo inaugurando, se si possono chiamare così, i viaggi sulle orme delle pandemie: inoltri avventurosi al seguito di spedizioni scientifiche nelle foreste fluviali dell’Africa centrale per scovare tracce di scimpanzé, fattorie della Malesia dove si erano diffuse epidemie causate dagli animali allevati, maneggi australiani dove strani virus avevano attaccato i cavalli, oltre agli immancabili wet market cinesi ormai luoghi prediletti di ogni pandemia contemporanea. Il secondo motivo, che lo rende un libro unico, è la capacità di presentarci approfonditi temi medici con un lingua semplice, per quanto il tema lo permetta. Incontra i più grandi virologi ed epidemioligi del mondo; ci spiega come, perché e dove nascono le malattie infettive; cosa sono i virus, i parassiti, i batteri. Ma soprattutto cosa sono i patogeni, la zoonosi (quando un patogeno fa il salto dall’animale all’uomo) e gli spillover (il momento in cui un patogeno salta da una specie all’altra). Ci spiega, ed è una cosa che i giornalisti in tv e nei giornali fanno poco per non dire che omettono, qual è la relazione che intercorre tra gli esseri umani, i virus, la storia e la natura. Insomma, è un libro che dà forza, conoscenza e consapevolezza. Ci fa capire che ciò che sta avvenendo intorno a noi non è un incidente della storia, ma un percorso che la storia deve sapere affrontare e con cui deve sapere convivere perché, come dice l’autore le zoonosi ci ricordano, come versioni moderne di san Francesco, che in quanto esseri umani siamo parte della natura, e che la stessa idea di un mondo naturale distinto da noi è sbagliata e artificiale. C’è un mondo solo, di cui l’umanità fa parte, così come l’HIV, i virus di Ebola e dell’influenza, Nipah, Hendra e la SARS, gli scimpanzé, i pipistrelli, gli zibetti e le oche indiane E ne fa parte anche il prossimo virus killer che ci colpirà, quello che ancora non abbiamo scoperto. Era il 2012 quando scriveva queste righe, avete mai letto qualcosa di più profetico?
Ne parliamo con Marco Forneris, autore che abbiamo già ospitato sulle pagine di questo blog parlando del suo ultimo libro L’oro di Baghdad, ambientato nel 2004 tra Iraq, Siria e Grecia e che ha avuto un grande risalto sia nella critica che nei lettori, qui l’intervista al suo libro. Laureato in informatica nel 1974, è stato responsabile IT di alcune delle più grandi aziende italiane e oggi lavora come advisor nel private equity, oltre ovviamente a scrivere romanzi dal forte retrogusto geopolitico.
Importante: con questa intervista non ci poniamo nessun obiettivo di dare soluzioni da salotto sul coronavirus. L’idea che ci ha spinto a questo dialogo è quella di fare due chiacchiere su un’opera straordinaria legandola agli eventi della contemporaneità che stiamo vivendo. Buona lettura!
Quali sono secondo te i punti di forza del libro di Quammen in relazione alla crisi della pandemia del covid19?
Spillover è un’opera di divulgazione scientifca – su una tematica molto complessa quale le infezioni virali – e al tempo stesso un romanzo giallo che racconta della caccia a serial killer micidiali e sfuggenti. È un libro scorrevole a dispetto della dimensione, mai noioso, una rara sintesi di scienza e avventura, e in qualche modo ha il merito di rendere visibile l’invisibile. Sapere com’è fatto il nemico che si sta combattendo ne fa diminuire la carica di terrore: conosciamo i suoi punti deboli, sappiamo che si potrà battere, che la guerra non è persa. La conoscenza è un’arma potente, riaccende la speranza.
A un certo punto il libro parla di un’opera letteraria, Area di contagio. La vera storia del virus Ebola di Richard Preston del 1989, che ha avuto un grande successo nel pubblico americano e ha aiutato sia a divulgare il dibattito sulle epidemie sia molti ricercatori a trovare fondi per la ricerca. Non pensi che si debbano stimolare di più questo tipo di letture per comprendere la pandemia in corso, piuttosto che terrorizzarsi quotidianamente davanti la TV/internet/social seguendo i pareri degli esperti che portano a crisi di panico, traumi psicologichi e aumento di violenza?
Starei attento a non sovraccaricare il sistema, i virologi dilettanti sono spuntati come funghi in questo periodo, ciascuno con la sua versione di causa e cura. Credo sarebbe suffciente una buona informazione, non diffcile da trovare anche prima della pandemia. Mia moglie e mia fglia – che non hanno una formazione medico-scientifca – non sono cadute dal pero al nome di Quammen e allo scatenarsi del contagio. Sono entrambe grandi lettrici del National Geographic e non è da ieri che vengono pubblicati su quella rivista articoli sul pericolo delle esplosioni virali. Salendo di livello (non me ne voglia la mia famiglia…) Barack Obama ne aveva fatto una delle ragioni del suo Obamacare; della previsione di Bill Gates è stata fatta ampia diffusione. Ma essere informati e agire di conseguenza richiede un’alta percezione del rischio. Gli esseri umani sono più bravi a reagire piuttosto che a prevenire, soprattutto quando la prevenzione crea fastidiosi contrattempi e prezzi da pagare. Ecco, il Covid-19 ci ha depositato nella casella postale un avviso di sfratto dalla faccia della terra, e così facendo spero abbia anche notevolmente alzato la percezione del rischio che corriamo. Lo spero, anche se non ne sarei così certo.
In molte delle sue ricerche Quammen mostra come alcune epidemie arrivano, colpiscono e vanno via, a volte ritornano ma non si sa dopo quanto tempo e non si ha nemmeno nessuna certezza a riguardo. Addirittura durante la SARS del 2003 in Cina, virus della stessa famiglia del covid19, si era certi di un ritorno immediato che non c’è più stato. Secondo te perché gli esperti ci continuano a dire che in autunno il virus tornerà, alcuni addirittura che non se ne andrà mai, se non hanno nessuna prova e se anche la storia li contraddice? Dice Quammen a riguardo: sembra sia il virus a decidere, e nessun altro.
Quando gli esperti non sanno, si trincerano nella cautela e si basano sull’andamento storico di casi simili. Nessuno vuole passare per superficale, come successo di recente non solo a certi presidenti ma anche a noti virologi stranieri e nostrani. Direi che è un fenomeno tipico del comportamento umano, quando ti scotti con l’acqua calda anche la fredda ti fa paura. È pur vero che spesso le cose sono andate nel modo predetto, ma non sempre. Tuttavia, un po’ di paura è un bel deterrente a comportamenti dissennati, per cui meglio prudenti che morti.
Un punto su cui l’autore insiste molto è il fatto che le malattie infettive fanno parte da sempre del nostro ecosistema ma che il comportamento umano degli ultimi secoli (disboscamenti forestali, eccessiva urbanizzazione, sovrapproduzione e sovraffollamento) ha permesso a molti patogeni di fare lo spillover in ambienti dove per milioni di anni non erano mai arrivati, e così attaccando l’uomo molto più direttamente. Con la crisi del covid19 i media stanno facendo una forte campagna sui cittadini affinché si abituino a nuovi comportamenti come il distanziamento sociale e l’attenzione compulsiva a toccare qualunque cosa (sia esseri animati che oggetti), ma non parlano mai dei temi socioambientali che tratta Quammen. Maliziosamente a me sembra che si voglia tutelare più il consumatore che l’uomo, tu che ne pensi?
Sono d’accordo, c’è la volontà di proteggere i consumatori, e di conseguenza l’economia, piuttosto che l’umanità in un senso più allargato. Va fatta però una riflessione sulla società dei consumi, perché se il Covid-19 è il serial-killer, i consumatori sono i suoi involontari complici, anche se eterodiretti. Per prima cosa, dovremmo renderci tutti conto che la Terra è un sistema a capacità finita e non può quindi reggere a un consumo tendenzialmente infinito, il tutto per favorire la crescita ossessiva dei profitti, tra l’altro a beneficio di pochi. Il nostro sistema economico non prevede fermate, deve sempre correre per sopravvivere, e quando per un motivo come il Covid-19 ha un breve arresto la coperta diventa improvvisamente corta. Ma vi pare possibile che nel paese più potente del mondo la gente non abbia risparmi sufficienti, cure mediche gratuite e garanzia del posto di lavoro per una fermata (parziale) di pochi mesi? Non abbiamo alternative a questa palla che viaggia nell’universo, quindi dobbiamo trattarla bene, a partire dalla limitazione dell’esplosione demografica che ruba spazi agli altri passeggeri della palla, facendo scattare meccanismi di difesa contro la specie usurpante. Il virus sembra dirci che lo abbiamo molto disturbato nel suo habitat e che quindi ricambia la sgradita visita, per conoscerci meglio e mettersi in pari.
In molti dei suoi reportage Quammen segue troupe di scienziati che, con sforzi disumani e molti dispendiosi, si insinuano nei meandri della terra per le loro ricerche che spesso portano a risultati che non giustificano né gli sforzi fisici, psicologici ed economici, né l’impegno per approfondire malattie che hanno fatto comunque un numero esiguo di morti. Alla domanda che l’autore porge a riguardo a uno degli scienziati gli viene risposto che tutto ciò non è inutile perché sono sempre in attesa del Next Big One e vogliono scovarlo con anticipo. Secondo te è quello che stiamo vivendo l’atteso Big One di cui si parla nel libro?
Non credo, la mortalità del COVID-19 è troppo bassa per costituire un vero pericolo. Il Big One potrebbe essere un virus ad alta contagiosità e maggiore mortalità, una sintesi fra il Covid-19 e la SARS che abbiamo già assaggiato. Non va dimenticato che una simile sciagura l’abbiamo già vissuta, con la Spagnola. Non ci sono numeri certi, si parla di cifre fra i 60 e i 100 milioni di morti, in un’atmosfera di terrore inimmaginabile, per mancanza assoluta di conoscenze. Mia nonna, che è stata colpita dall’epidemia ed è sopravvissuta (anche per mia fortuna!) mi raccontava che ogni due ore nel suo paesino di mille abitanti la campana suonava a morto, e alla fine la popolazione era diminuita di un terzo. In situazioni come queste la società tende a regredire, torniamo a rifugiarci nelle nostre caverne virtuali, con l’orecchio teso ad individuare il passaggio delle belve invisibili e senza nemmeno il conforto del gruppo, all’interno del quale potrebbe annidarsi il nemico. Soli nella notte, sperando di vedere nuovamente l’alba. Poiché le previsioni più fosche tendono ad avverarsi, credo che un altro evento di questo tipo purtroppo nel futuro accadrà, ma penso anche che saremo più preparati, più consapevoli e con più strumenti. E se così non fosse ci estingueremmo per esclusiva colpa nostra.
Da scrittore di narrativa storica e amante della letteratura di viaggio, che ne pensi dello stile di Quammen per quel che riguarda la parte descrittiva dei luoghi? A me, a tratti, ha ricordato due grandi scrittori di viaggio, come Paul Theroux a V.S.Naipaul, qui un breve stralcio: …poi la pioggia cessò e con lei il vento fresco. Le piccole onde che increspavano il fume sparirono e la superfcie dell’acqua tornò a essere una piatta distesa color caffelatte. Le mangrovie si protendevano dalle rive come tentacoli. Notai la presenza di aironi, ma non del martin pescatore. A metà pomeriggio arrivammo alla confuenza con il Sangha, in un punto dove la riva sinistra non presentava scarpate ma era bassa e scivolava dolcemente nell’acqua. Il fume ci catturò e ci fece un po’ ballare. Mi voltai a osservare quell’angolo remoto del Camerun sparire all’orizzonte.
Se parliamo di Africa, allora penso a Conrad e a Cuore di Tenebra, con il viaggio sul fiume Congo e nella foresta pluviale alla ricerca di Kurtz. E che dire della frase: “L’Orrore! L’Orrore!” pronunciata da Kurtz prima della sua fine? Uno dei più bei libri che abbia letto. Allo stesso tempo mi viene in mente la leggerezza di stile del Graham Green di Un americano tranquillo, che invece introduce la visione politica dei rapporti fra gli USA e il sud-est asiatico, con la Cina molto sullo sfondo. La politica non è un fattore trascurabile in questa gara contro il virus, come ben sappiamo.
Per chiudere, alla luce di ciò che stiamo vivendo, daresti il Nobel per la letteratura a Quammen quest’anno? Io personalmente sì perché ritengo Spillover un’opera che illumina uno dei periodi più bui mai vissuti dall’umanità.
No, credo sia un libro straordinario, che tutti dovremmo leggere, ma più da Pulitzer che da Nobel. Forse con l’annunciato L’albero intricato potrei ricredermi, ma prima devo leggerlo.
Lasciami fnire con qualche ricordo personale, ad integrazione di alcuni capitoli di Spillover. Ho visitato molte delle zone descritte da David Quammen, dall’Australia alla Malesia, dalla Cina all’Africa, e altre che non sto a citare, ma solo in due di queste ho sentito dei brividi gelati lungo la schiena. Si parla molto del wet market di Huawei, ma non è certo l’unico in Asia, e non solo in Cina. Li puoi trovare in Malaysia, in Indonesia, in Cambogia, e ovunque ci sia giungla pluviale. La caratteristica di quelli cinesi è che si trovano a due passi dal futuro. Si può camminare fra i grattacieli di Shangai, Guangzhou, Shenzhen, Wuhan, persino nella occidentalizzata Hong Kong e, appena svoltato l’angolo, ritrovarsi nel medioevo igienico sanitario, con oche e galline spennate appese per la strada e gabbie di animali vivi pronti a essere macellati all’istante. Molti anni fa, quando li vidi per la prima volta, provai un disgusto fortissimo, e dire che sono nato in una famiglia di origine contadina, quindi piuttosto avvezzo ad un certo atteggiamento verso gli animali. Non ho mai superato quel disgusto, ma soprattutto il disagio nel percepire la differenza fra l’apparenza futuristica e il ventre oscuro delle tradizioni e dei comportamenti popolari.
Sempre a proposito di disgusto, ma anche di terrore. In Malaysia, un’isola sul Mar Cinese meridionale. Appena arrivato in un piccolo resort, molto primitivo, prima ancora di entrare nel nostro bungalow mia figlia venne morsa a una mano da un piccolo pipistrello. Attimo di panico, un po’ di disinfettante fornito dall’altezzoso expatried inglese che gestiva il resort. Con aria di superiorità, mi disse che non c’era di che preoccuparsi, i pipistrelli non erano infettivi e anzi, se fossi stato interessato, avrei potuto visitare con una guida una caverna dove si rifugiavano. Accettai, e di quell’esperienza conservo ancora un ricordo indelebile. Mai avuta tanta paura: migliaia di ali nere appese al soffitto, un tanfo nauseante, escrementi ovunque. Ecco, rileggendo le pagine di Quammen mi è venuto in mente l’episodio. E allora non sapevo che avrei potuto essere anch’io un diffusore…
2 Comments
Libro consigliato! Adesso sarebbe interessantissimo un nuovo testo di Quammen dedicato solo e soltanto al Covid-19
Concordo, ma potrebbe fare delle scoperte scomode ai più