Ho avuto la fortuna di visitare Amburgo un paio di volte nella vita a metà degli anni Dieci. Mi rimase dentro e nel profondo del cuore come pochi altri posti del mondo. Il suo porto, il più grande di Germania, ammalia il visitatore e fortifica l’identità del locale. Mentre suo il quartiere più famoso, St. Pauli, l’ha resa un’icona di libertà e rivolta nel globo intero. L’ottimo libro di Nicolò Rondinelli, pubblicato nel 2015 per i tipi di Bepress, approfondisce la storia del FC St.Pauli, la squadra di calcio del quartiere, legata indissolubilmente alla storia del suo porto e della sua trasgressione, con gli squatter e gli operai, con le prostitute e i punk, con gli anarchici e la resistenza. Un esempio unico nel mondo di come il calcio possa diventare un simbolo di valori che superano quelli sportivi per abbracciare quelli umani, sociali e politici. Un libro bello, intenso e ben documentato con ricerche e interviste ai protagonisti di ieri e di oggi del fenomeno St.Pauli che rendono la lettura piacevole e avvolgente. Il calcio che diventa il volano per comprendere una città e la filosofia di vita di una comunità legata ai valori dell’antirazzismo e dell’antifascismo. Una squadra che è davvero più di un club, che nel giro di poco tempo si è guadagnata l’amore e la passione di supporters in tutto il mondo, indipendentemente dai sui successi sportivi visto che la squadra gravita principalmente nella seconda divisione tedesca. Un libro che è anche una guida per comprendere Amburgo e le sue sfumature rivoltose che l’hanno resa famosa ben al di là dei confini tedeschi. Questo libro è anche un esempio straordinario di come la letteratura calcistica si possa fondere con quella di viaggio fino a divenire un unico genere. Abbiamo intervistato l’autore. Buona lettura!
*Le foto dell’articolo sono state gentilmente concesse da Nicolò Rondinelli.
Cosa ti ha spinto a scrivere un libro sul FC St.Pauli?
Ciao e grazie mille innanzitutto per avermi coinvolto in questa bella chiacchierata virtuale! Ho scoperto dell’esistenza del FC St. Pauli verso la metà degli anni Novanta. All’epoca, da buon calciofilo, ero un avido consultatore del televideo da cui scorgevo i risultati dei campionati europei. Ricordo che notai l’esistenza di questa squadra dal nome particolare nella Bundesliga della stagione 1995/96. Qualche anno dopo, agli inizi dei Duemila, mentre frequentavo assiduamente la scena dei concerti punk, dei centri sociali e dei movimenti, ricordo che mi capitava spesso di incrociare ragazzi con t-shirt e felpe nere con in mezzo il famigerato Jolly Roger e la scritta St. Pauli. Fu l’articolo di una fanzine autoprodotta che parlava delle tifoserie antirazziste d’Europa a schiarirmi le idee ancora confuse su cosa fosse il FC St. Pauli e la sua componente del tifo e della sua comunità. Iniziai a seguirne le gesta attraverso articoli su internet e riviste di settore, fino al 2012 quando mi recai per la prima volta ad Amburgo e al Millerntor. Fu un colpo di fulmine: l’atmosfera del quartiere, che pareva un gigantesco ritrovo punk; il clima dello stadio, un catino di gente da ogni dove che ti offriva birre a ripetizione e ti abbracciava senza conoscerti; il post-partita al pub Jolly Roger, tra ulteriori giri di bevute e cori. Ci lasciai un pezzo di cuore e, contestualmente all’imminente epilogo del mio percorso universitario specialistico in pedagogia, decisi di scriverci una tesi, sul rapporto tra la squadra di calcio e la comunità del quartiere, come l’una influenza l’altra secondo i valori di solidarietà e antirazzismo. L’anno successivo alla mia nomina di dottore di secondo livello in Scienze Pedagogiche, entrai in contatto con il buon Andrea di Bepress Edizioni, che mi contattò per propormi una pubblicazione. Da lì mi si aperto un mondo: ho avuto la possibilità di presentare il libro in quasi cento occasioni in Italia e ho conosciuto un sacco di realtà e persone grazie ai racconti che “Ribelli, sociali e romantici” mi ha permesso di condividere.
Cosa rappresenta l’FC St.Pauli per la città di Amburgo, per la Germania e per l’Europa?
Sicuramente un modello di calcio e società inclusivi. In Germania i tifosi del St. Pauli sono stati i primi a portare avanti un discorso parallelo tra calcio, tifo e politica, soprattutto in un periodo, quello a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, in cui la presenza dei gruppi neonazisti nelle curve tedesche era predominante e minaccioso. Nel corso dei decenni hanno istituito diversi progetti di inclusione e sensibilizzazione su temi come l’antirazzismo e la solidarietà, creando un ponte con la dirigenza del club e ispirando progetti analoghi anche per le altre tifoserie. Attualmente il network dei supporters del St. Pauli ha relazioni con decine di tifoserie europee e non solo, oltre che centinaia di fan-club sparsi per il globo, con cui condividono temi e valori di un tifo inclusivo.

Domanda marzulliana, St.Pauli è più un universo o un microcosmo?
Direi una buona via di mezzo! Nel senso che l’esperienza sportiva e sociale che si è sviluppata a St. Pauli negli ultimi trent’anni ha avuto senso proprio per le caratteristiche intrinseche alla storia del quartiere al suo legame con la città di Amburgo e la società e cultura tedesca dell’epoca, sia mainstream che alternativa. Ci sono state anche delle circostanze abbastanza fortuite per cui il St. Pauli è diventato un cult club, tra cui lo sviluppo dei movimenti politici di strada degli ultimi anni Settanta e il proliferare del neonazismo in molte curve tedesche, motivi che hanno ispirato un percorso di lotta da parte dei supporters Sanktpauliani e degli abitanti del quartiere. Allo stesso tempo St. Pauli è diventato una sorta di modello universale di valori solidali e antifascisti, che ha preso piede in decine di esperienze sportive e di tifo analoghe in Germania e nel resto del mondo. Se si pensa, in piccolo, al network del cosiddetto “Calcio Popolare” italiano, con esperienze di squadre come CS Lebowski di Firenze, Atletico San Lorenzo di Roma, Quartograd di Napoli e molte altre, si può dire che l’esempio di St. Pauli e della sua organizzazione associativa dal basso e dei suoi valori cultural-sportivi sia stato fondamentale.
Domanda scomoda, mentre facciamo questa intervista le squadre di calcio russe sono state estromesse dalla FIFA da tutte le competizioni, sia per club che per nazionali, per via del conflitto in atto in Ucraina. C’è un limite, secondo te, in cui la politica non dovrebbe oltrepassare la sfera dello sport?
È certamente un tema molto dibattuto nonché complesso quello del rapporto tra calcio e politica, nella misura in cui per politica intendiamo un modo di concepire teoria e prassi della gestione della cosa pubblica. Lo sport, il calcio a maggior ragione, è nato a stretto contatto con la dimensione politica, se ci pensiamo. Quando in Inghilterra il football si diffondeva dai college alle masse operaie, i padroni stessi avevano capito che poteva essere uno strumento di sfogo e controllo dei lavoratori. Una sorta di evoluzione del “panem et circensem” di memoria romana antica. Le masse, dal canto loro, si sono appropriate di una parte importante del gioco, modellando la propria identità e appartenenza sociale attraverso il calcio giocato e seguito. Oggigiorno istituzioni come FIFA e UEFA fanno semplicemente gli interessi dei potenti; il calcio che conta è in mano alle oligarchie finanziarie e non mi stupisce affatto che i club e gli atleti russi, spesso loro malgrado, siano stati estromessi dalle rispettive competizioni per “colpire” politicamente il paese. Portando ulteriore complessità geopolitica al conflitto in atto, in cui il calcio e lo sport sono la cartina di tornasole. Credo che il rapporto tra sport e politica sia intrinseco della natura di entrambi; casomai la sfida odierna è quella di difendere strenuamente la dimensione pubblica e popolare di questo rapporto.

Come è cambiato, e come sta cambiando, il quartiere di St.Pauli con la gentrification degli ultimi decenni? Sta perdendo qualcosa della sua peculiarità per assomigliare sempre più alla cosmopolita Berlino per fare un esempio?
Rispetto al tema della gentrification, St. Pauli è un caso piuttosto emblematico: un quartiere storicamente popolare e operaio che negli ultimi trent’anni si è trasformato in un’enclave borghese e radical chic. Certamente il suo essere sempre stato un covo di artisti, delinquenti, prostitute e soggetti alternativi ha giocato molto in questa trasformazione, per la quale i consueti faccendieri hanno contribuito a minarne sempre di più la sua componente popolare. I tempi dei punk, delle occupazioni, dei club fumosi e accessibili a tutti stanno purtroppo lasciando il passo ai lounge bar pettinati e a hotel extralusso. Come mi raccontò un’amica residente ad Amburgo, se nei primi anni Duemila l’affitto di un bilocale in quartiere costava 300 euro, oggi i prezzi sono quasi triplicati.
Ti piacerebbe scrivere un altro libro su altre squadre europee che abbiano un rapporto così simbiotico con il territorio? Se sì quali e perché.
Ho in serbo da diversi anni il progetto di un libro che racconti le esperienze di club gestiti da tifosi, seguendo un po’ l’esempio del St. Pauli. Un’esperienza che mi piacerebbe vedere da vicino è quella del FC United of Manchester, il club nato da tifosi dissidenti del Manchester United dopo l’avvento della proprietà americana dei Glazer nel 2005. Nel giro di una quindicina d’anni sono arrivati a giocarsi il campionato della sesta divisione inglese e a costruirsi uno stadio nuovo di zecca, grazie al contributo dei propri soci tifosi.

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