Sono stato un fine settimana a Bordeaux, città patrimonio Unesco. Ho visto cose bellissime e ne sono tornato euforico, ma in un certo senso c’ero già stato, essendomici fatto trascinare dalla lettura del noir di Hervè Le Corre lì ambientato Dopo la guerra, che ha vinto anche il prestigioso “Grand Prix du roman noir français di Cognac”.
Ho visto avvicinarsi Bordeaux attraverso le putrelle di ferro del ponte ferroviario e il cuore mi si è fermato. Buia e coricata in riva alla Garonna sotto la crosta rossastra dei tetti. Un singhiozzo amaro mi si è incastrato in gola quando ho visto l’allineamento impeccabile delle facciate nere, lo squarcio di place de la Bourse, le trincee scure delle vie che si infilavano nella città. Il fiume sempre fangoso, irrigidito dall’alta marea sotto il cielo grigio, somigliava ad una mostruosa strada di terra. E il porto. Le navi lungo i moli, a ridosso dei magazzini, irte di pali, ai piedi di gru inclinate o dritte e appuntite come coltelli impugnati. Ho guardato il tutto con la faccia incollata al finestrino, come un bambino curioso avido di indovinare cosa scoprirà.
Così la descrive Le Corre, pensavo fosse dovuto all’ambientazione noir ma in effetti è proprio come il passo la illumina. Un luogo plumbeo con l’immensa Garonne che le scorre nel cuore pulsante, di un colore fangoso che ricorda i fiumi della Cambogia, una città di gioviale rilassatezza e di un’eleganza soporifera.
Il libro è ambientato nella Bordeaux di fine anni cinquanta, una città che porta ancora le stimmate della seconda guerra mondiale e dell’invasione nazista. Il personaggio principale è un poliziotto corrotto, ex-collaborazionista, assassino, losco in ogni respiro, uomo capace di tutto per soddisfare le sue ambizioni malvagie: ecco Darlac, l’emblema della cattiveria e dell’inumanità. E’ lui che fa arrestare gli ebrei durante la guerra che verranno deportati nei campi di concentramento in Polonia, in cambio gli viene data la possibilità di saccheggiare le case rimaste vuote degli stessi deportati.
“…per lui la città, con le sue insignificanti occupazioni e la sua pace mortifera, è solo una scenografia ostile popolata da pupazzi che vorrebbe tanto buttare giù o mettere sotto con la macchina per sentire sulla carrozzeria il tonfo molle dei loro corpi proiettati in aria, come un bambino inferocito che con il dorso della mano rovescia tutti i soldatini.”
Arrivando dall’aeroporto, il bus attraversa le zone industriali, casermoni allineati uno dietro l’altro. E’ lì che il Commissario Darlac va a regolare i conti con le sue vittime, è lì che consuma la sua sete di sangue, un brivido mi attraversa il corpo mentre osservo e rimembro, immedesimazione libro-realtà ancor prima di entrare in città.
Alloggio sereno, una stanza in un’abitazione privata con la padrona di casa e due gatti grassi e affettuosi, una terrazza confortevole con vista sulla Tour Saint-Michel, il gotico comincia a riecheggiare.
E’ ora di andare ad esplorare la città-gioiello, ancora vive le immagini evocate dalle pagine del romanzo. Mi avvio per il centro storico, è sabato sera, c’è molta gente in giro ma non si ha l’impressione di essere trascinati dalla frenesia. Stradine strette e ben curate, un’architettura color corda accompagna il passeggiare. Entro in un bistrot di uno strano personaggio che scopro essere libanese, quando viene a sapere che sono siciliano mi dice che è stato a Palermo nel 1991 a girare un film dove ha avuto una parte dieci minuti e interpretava un Hezbollah che rapiva un fotografo. Le scene le han riprese lì perché era l’ambientazione più vicina al Libano durante la guerra degli anni ottanta, confermo appieno la conformità del luogo. Scopro che il film vinse il premio della giuria a Cannes, “La vita sospesa” di Maroun Bagdadi, strane affinità ancestrali franco-liban-palermitane. E’ comunque una persona molto gentile, chiedo consiglio su un posto dove cenare serenamente, comincia a imprecare che tutti i ristoranti del centro son trappole per turisti ed è facile rimanere spennati senza essersene resi conto. Fa una chiamata, mi prenota un tavolo a dieci minuti di cammino, mi fido e non me ne pento: Le Cochon Volant, nei pressi di Place des Capucins, è un bistrot tipico francese con il menù scritto alla lavagna e clientela esclusivamente locale. Prendo una straordinaria cote de bouef da 1,2 kg ed una boccia di Chateau de Chantegrivedel 2012. Rimango inebriato dal vino, il palato comincia ad esaltarsi al tatto del nettare di Bordeaux e non appena arriva la portata capisco di essere nel posto giusto. E’ il trionfo della gola e della passione, torno a casa soddisfatto ed euforico, al mattino il primo pensiero è scrivere un messaggio di ringraziamento al nostro amico Hezbollah che mi ha fatto vivere una cena da bordolese vero.

Il libro richiama un tema spesso ricorrente nella letteratura francese e di cui il Conte di Montecristo è il pioniere: la vendetta. Andrè, che tutti davano per morto nel campo di concentramento, è invece sopravvissuto. Decide di tornare a Bordeaux, a distanza di più di dieci anni dai fatti, per uccidere il Commissario Darlac, colui che ha venduto lui e la moglie Olga ai nazisti. Lei non ce la farà a sopravvivere, lui sì, ed adesso ha in mente solo una cosa:
Elaboravo strategie. Immaginavo le sofferenze che avrei potuto infliggere ad Albert Darlac. Avrei potuto rapirlo, anche se ancora non sapevo come, portarlo in un luogo lontano da tutto e da tutti e torturarlo a lungo, poi lasciarlo morire di fame e di sete attaccato a un albero o inchiodato a una tavola. Guardare i suoi occhi pieni di terrore prima di abbandonarlo. Avrei potuto semplicemente farlo fuori in mezzo alla strada o nella sua macchina. Portargli via la testa con una scarica di pallettoni dopo averlo fermato e avergli detto: “Ciao, ti ricordi di me? E Olga te la ricordi?”. Ho lasciato dilagare immagini di orrore. Sangue, carne, cervella. Grida e suppliche.
Inizio il giro domenicale. Una pioggerella soave, per nulla fastidiosa, accompagna il passeggio. Il cielo è costantemente fosco, ma tutto è molto armonioso. Il grigio dona a Bordeaux, se si desidera il sole e le atmosfere mediterranee meglio virare sulla Costa Azzurra: qui c’è l’oceano, il porto, il vino rosso e la poesia in ogni passo. Comincio a vedere alcune chiese, sono molto affascinanti, tutte gotiche con tetti altissimi e gli affreschi alle finestre, sembrano rasserenare il fedele, danno un senso di paternità, quasi un abbraccio avvolgente contro le impervie della società lì fuori.

Ecco, altra rimembranza sovviene sull’asse libro-realtà. Alzo gli occhi e vedo il nome della strada, Cours Victor Hugo, è una delle arterie principali della città, il Commissario Darlac ci svolazza spesso in macchina nelle lugubri notti di fine anni cinquanta. Finestrino abbassato e sigaretta in bocca meditando pensieri malvagi e crudeli, rivedo subito il viso contratto, rugoso e arcuato della sua spietatezza, mi scrollo le spalle, è solo un libro, solo immaginazione.

Continuo ad errare per questa meravigliosa città, vado per il lungo fiume, arrivo alla splendida Place de la Bourse con i giochi d’acqua che creano una sorta di riflessi di specchi, pura estasi per l’occhio, incanto visivo.

E poi c’è Daniel, è il figlio di Andrè e Olga i quali, saputo che li avrebbero deportati, riescono a nasconderlo e farlo recuperare da una coppia di amici, che lo adotteranno ufficialmente quando si saprà della morte dei genitori. Quando il padre torna per consumare la sua vendetta, Daniel lavora in un’officina, è un grande appassionato di cinema ed è in età di leva. Questione non da poco in quegli anni, essendo la colonia Algeria in piena rivolta per l’indipendenza, sa che da un momento all’altro arriverà la lettera di chiamata alla armi, ed inesorabilmente la riceve. E la storia si amplia, si va in Africa a combattere, ed una descrizione celiniana delle atrocità e delle assurdità della guerra comincia a coinvolgere il lettore. Sarà un lungo periodo che ne scalfirà per sempre l’indole e l’anima, poi torna.
E’ soprattutto spaventato dall’altro sé che ha lasciato in Algeria, il fratello gemello, quel doppio uscito da sé a cui è piaciuto fare la guerra, che ha vissuto ogni istante di quegli otto mesi come un’avventura capace di dare un senso alla sua vita, che ha soggiaciuto alla potenza conferita dalle armi, ha ceduto alla vertigine della violenza e dell’odio, ha assaporato l’orrore, come dopo aver esitato di fronte all’odore disgustoso di un formaggio se ne apprezza la sua insospettabile dolcezza.
E’ ora di pranzo, la domenica è sacra, non si scherza con il giorno del riposo. Dritto al Marchè des Capucins , me l’hanno consigliato tutti, è un po’ come il Colosseo la prima volta che vai a Roma. Per la prima mezz’ora vago tra i vari banchi e ristoranti, scruto e attendo un segnale dal mio fiuto che arriva puntuale quando vedo le portate che escono dalla cucina del Bar Chez Jean Michel. Mi siedo dopo un po’ di coda, ne vale decisamente la pena. Un piatto di frutti di mare dal diametro di quasi tutto il tavolino mi vien servito, non credo ai miei occhi: ostriche, gamberoni densi e saporiti, lumache da 150 gr l’una, granchi pieni zeppi di polpa. E’ ancora un trionfo, sono un bimbo al luna park, un’euforia indescrivibile si trasmette in ognuno dei miei sensi, delirio ed esaltazione.
E’ una Bordeaux grigia quella illustrata da Le Corre “…città tetra che la pioggia sembra spegnere mentre i marciapiedi sono percorsi da sagome indistinte…” eppure non ci si riesce a staccare dalle sue descrizioni, dalla profondità del suo pensiero, dallo svisceramento di ogni angoscia che si sviluppa nelle menti dei suoi personaggi. Ed è anche una finestra importante per il lettore che ama conoscere la Storia attraverso i romanzi: qui la Gestapo ed i collaborazionisti, la deportazione degli ebrei, la Francia durante e dopo il secondo conflitto mondiale, la guerra d’indipendenza algerina. Al termine del romanzo si ha una comprensione più seria ed approfondita su questi temi.

Attraverso il romantico Pont de Pierre, che nel corso del tempo ha ispirato opere di diversi pittori ed alcuni francobolli (cito la guida), per approdare sull’altra sponda della città, e si nota all’istante una modernità più spinta ma sempre nel rispetto e nell’armonia architettonica bordolese.
E’ una città da passeggiare Bordeaux, pigramente e con passo lento. Tanta gente in bici e a correre sui viali lungo la Garonne. Visito il bellissimo Orto Botanico che ha piante rare che arrivano dalle ex-colonie e poi mi dirigo verso un posto molto particolare: l’Hangar Darwin Skate Park, una serie di grossi casermoni recuperati ad uso sociale e dove adesso si trova la più grande area di skaters di Francia. Avvicinandomi sento boati continui che rimembrano le battaglie sull’altipiano d’Asiago della grande guerra, ed invece sono decine di ragazzi e ragazze di ogni età che si danno da fare con la tavola sulle ruote. E’ uno spettacolo di suoni e voli, mai visto nulla del genere in vita mia, è parecchio underground ma è assolutamente un altro must quando si visita Bordeaux.

L’homme est un mer. Depuis l’enfance matelot,
Il livre au hasard sombre une rude bataille.
Pluie ou bourrasque, il faut qu’il sorte, il faut qu’il aille..
E’ una poesia di Victor Hugo citata nel libro, richiama la vita di mare e delle città che fanno dell’acqua la sua essenza vitale, Bordeaux è assolutamente una di queste.
Lentamente il cielo offuscato mi accompagna verso l’ora di cena. Un’idea mi sobbalza: come sarà il cinema indipendente Utopia di cui tutti parlano? Ho letto sulla guida che è all’interno di una chiesa sconsacrata ed è un punto cruciale della vita culturale bordolese. Arrivando mi rendo conto che il luogo è unico, l’ampia facciata gotica non la differenzierebbe dalle decine di chiese simili sparse per la città. Ma i tavolini ed il chiacchiericcio, le locandine dei film ed una biglietteria a forma confessionale mi danno tanta speranza. Non essendo troppo fluente in francese spero in un film neutro. Mi va bene e trovo Good Time, appena uscito, con Robert Pattinson, nella recensione dicono sia addirittura il nuovo After Hours. Proiezione in inglese con sottotitoli in francese, m’arrangio ed è una grande esperienza.

Si dice che Hervé Le Corre sia per Bordeaux quello che Jean-Claude Izzo è stato per Marsiglia. Personalmente non lo so, ho amato troppo La trilogia di Fabio Montale dello scrittore marsigliese per lasciarmi coinvolgere così celermente a paragoni troppo affrettati. E’ come un amico a cui sei molto legato grazie ad un rapporto che si è costruito nel tempo, e poi conosci una nuova persona con cui hai delle affinità, ne intuisci le potenzialità ed il genio, ma ce ne vuole per fortificare un rapporto. Ad ogni modo il noir è un genere che bacia alla perfezione l’ambientazione di molte città francesi, e Le Corre si è meritato la mia stima ed il mio tempo.
E’ lunedì mattina, nel pomeriggio termineranno le quarantotto ore di esplorazione bordolese. Riprendiamo l’errante passeggio, vedo il mercato delle pulci, l’università. Faccio qualche foto in giro e poi mi dirigo verso la Librerie Mollat, la più grande libreria indipendente di Francia, segnalata in ogni dove, non può mancare a questo tour. E’ una sorta di città di libri, una sezione dietro l’altra, ogni campo dello scibile umano è lì presente, termini di visitare un’area a bocca aperta e ne trovi un’altra ancora più grande, è uno stupore in crescendo, sembra non finire mai. Mi soffermo al reparto letteratura straniera, noto che allo scomparto “letteratura italiana” ci sono “I Beati Paoli” di Luigi Natoli in splendida esposizione, una punta d’orgoglio estremo mi fa vibrare gioia. Chiedo ad una impiegata chi sono gli autori italiani che più si vendono, mi dice che va molto bene Cognetti con “Le otto montagne” e la Ferrante, tanto per cambiare, spopola. Con il mio francese meno che elementare le faccio notare che ha almeno sei testi di Leonardo Sciascia sugli scaffali che però sono troppo nascosti, le propongo, per incrementare vertiginosamente il fatturato, di metterli ben in vista in vetrina. Non afferra il mio sarcasmo, non ride e non mostra empatia. Abbozzo un sorriso di salvataggio, scatto una foto e via, meglio andare in ritirata e farsi un corso di francese.

E’ tempo di andare. Il fascino della città rimane vivo mentre la assaporo con l’ultimo sguardo dal finestrino del bus che mi porta in aeroporto. Chissà se ci tornerò, si dice sempre così dei posti che si visitano e che ti lasciano sensazioni piacevoli. Ma forse sarà più probabile che qualche altro libro mi porterà in altri luoghi, perché parliamoci chiaro: leggere e viaggiare sono la stessa cosa come lo sono la filosofia e la matematica.

Ottobre 2017
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