La lista dei suoi libri di viaggio è infinita, non c’è angolo di questo globo su cui Paul Theroux non ci abbia scritto a riguardo. Paesaggi, persone, religioni, storia, valutazioni critiche e, soprattutto, una penna divina in grado di emozionare il lettore fino all’alchimia trascendente, fino a sentire quei luoghi dentro la pelle, come se si vivessero fisicamente. Nell’era dei blogger e degli influencer di viaggio, è necessario leggere Theroux per capire che prima di scrivere di viaggi bisogna essere scrittori. Ho letto di recente il suo Dark Star Safari del 2002, un viaggio memorabile via terra dal Cairo a Città del Capo, e ne sono uscito più arricchito che mai sulla conoscenza del continente nero e le sue complesse dinamiche socio-culturali.
Eccone una breve recensione a riguardo.
Cosa può spingere un scrittore emerito, uno dei più stimati e apprezzati prosatori americani, ad affrontare un viaggio così lungo e imperioso che attraversa la viscere dell’Africa rigettando in toto l’aereo? Sicuramente una forza primordiale interiore, una profonda fiducia nei propri mezzi e la consapevolezza che oltrepassare la linea dell’ignoto è ancora la fonte primaria della scrittura di viaggio, in contrapposizione al modello contemporaneo che ci spinge a viaggiare sapendo già più o meno tutto ciò che andremo a vedere.
“Il fatto che la fotografia rovini il piacere degli occhi nel vedere i luoghi, è niente in confronto al modo in cui internet e la nostra era dell’informazione hanno distrutto il piacere della scoperta del viaggio.”
Partendo dalla caotica e faraonica Il Cairo, il lettore viene trasportato in un excursus sull’Africa profonda, dove il sudiciume diviene materiale di prosa, la storia si manifesta nella sua immortalità ciclica, l’uomo incontra altri uomini che segnano le giornate e danno linfa appassionata alla scrittura. Passando per il Sudan, non ancora diviso al momento in cui scrive Theorux, paese su cui l’autore viene messo in guardia con le peggiori previsioni catastrofiche mentre alla fine si rivelerà il luogo più accogliente, e con la gente più pacifica, di tutto il viaggio. Paese della Nubia e di paesaggi desertici, uomini alti e magri dagli occhi pieni di eterno. Luogo delle prodigiose piramidi di Meroe, in buona parte saccheggiate dall’italiano Giuseppe Ferlini a metà ottocento, e delle strade moderne costruite da Bin Laden.
E valicare ancora i confini per entrare in Etiopia e scoprire una Addis Abeba di cartapesta, forgiata dalla rabbia di trent’anni di dittatura comunista che arrestava una media di cinque persone ogni mezza dozzina di abitanti. E scoprire Harar, la città delle iene e della produzione del Qat (una droga molto diffusa sia in Africa che in medio-oriente), dove nell’ottocento visse a lungo Rimbaud. E poi continuando verso Sud, con tutti i mezzi possibili, esclusi sempre gli aerei. Il Kenya violento delle strade dei banditi e della capitale Nairobi corrotta nel midollo. L’Uganda che prova a rinascere sulle rovine lasciate da Amin, un memorabile attraversamento del Lago Vittoria su un mercantile, la scheletrica povertà della Tanzania, il primitivo Malawi in canoa, il contrastante Zimbabwe di Mugabe, il Mozambico post-coloniale, le antitesi continue del Sud Africa.
Nell’opera risalta la dura critica di Theroux alle Ong presenti in Africa praticamente in maniera ininterrotta dal momento della decolonizzazione nella seconda metà del novecento. Organizzazioni che vorrebbero imporre modelli di vita occidentali in un luoghi dove, per la maggior parte del territorio, vive anche la spiritualità e le credenza in miti ancestrali. Ong che si piazzano sul continente usurpandolo, alimentando un sistema assistenzialistico che non fa altro che ingrassare le tasche di una spauritissima élite e mantenere le popolazioni nella fame. E’ emblematico un passo del libro dove l’autore attraversa una strada moderna e ben funzionante, costruita apposta per fare andare i turisti nei safari, mentre ai suoi bordi gli africani continuano a camminare scalzi e con i vestiti laceri.
“Quando questo Paese diventò indipendente aveva pochissime istituzioni, e tuttora non ne ha molte. I benefattori non contribuiscono allo sviluppo. Mantengono lo status quo. E i politici ne sono entusiasti, perché odiano i cambiamenti. Gli aiuti piacciono ai deposti perché conservano loro il potere e contribuiscono al sottosviluppo. Non è una questione sociale o culturale, e certo nemmeno economica. Gli aiuti sono una delle principali ragioni del sottosviluppo dell’Africa.”
E poi il turismo in Africa, altra critica feroce dell’autore. In primis nei confronti di altri scrittori, additando addirittura Hemingway, che hanno trasmesso nei loro libri un’immagine dell’Africa di uomini accondiscendenti ai capricci dei visitatori ricchi, che mostravano fieramente le teste di leone che avevano cacciato, e che hanno stereotipato il turista come un uomo di sahariana cui tutto gli può essere concesso. L’Africa è un’altra cosa, l’Africa è complessa e varia continuamente nelle sue migliaia di etnie, di credenze, di lingue, di popoli antichissimi legati da rituali millenari che vivono in perfetta osmosi con la natura e gli animali. E’ nelle città, dove l’architettura sociale si ispira in toto a quella occidentale, che emerge la violenza, la diseguaglianza estrema, la fame brutale. Ma nel bush vivono ancora uomini che organizzano la propria vita con il sole come orologio e il quotidiano come condivisione.
“In Africa, per la prima volta (lo scrittore vi aveva insegnato quattro anni negli anni sessanta), avevo avuto l’intuizione della forma che avrebbe preso la mia vita: sarebbe stata all’insegna della scrittura, della solitudine volontaria e del rischio, e, poco più che ventenne, avevo già gustato quegli ambigui piaceri. Avevo imparato quanto molti altri avevano scoperto prima di me: che l’Africa, nonostante tutti i suoi pericoli, rappresentava natura primitiva e potenzialità. Non ero soltanto libero di scrivere, in Africa: avevo anche qualcosa di cui scrivere.”
Uno dei più piacevoli libri di viaggio mai letti, un’opera che aiuta a comprendere un continente di cui spesso si banalizzano i problemi e si offuscano le verità.
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