Zo d’Axa è stato uno dei più influenti anarchici francesi della seconda metà dell’Ottocento. Giornalista e anti-militarista, fondatore di due leggendarie riviste, L’EnDehors e La Feuille, dopo essere stato arrestato durante dei moti insurrezionali è riuscito ad evadere e scappare con una fuga mitologica, arrivando fino a Gerusalemme. La casa editrice Ortica Editrice ha da poco riproposto il suo diario di viaggio Senza rotta, senza scopo che lo portò dalla Francia al Medio Oriente, in un reportage unico grazie a una visione del mondo dettata dalla fuga e dall’essere ricercati dalle polizie di mezzo mondo. Ce ne parla in questa recensione Luigi Canepa, e cogliamo l’occasione per ringraziarlo augurandoci di poter collaborare a lungo insieme.
«Colui che nulla arruola e che solo un’impulsiva natura guida, questo passionale tanto complesso, questo fuori-legge, questo fuori scuola, quest’isolato cercatore d’al di là, si delinea in queste parole: L’Al-Di-Fuori»
(Zo d’Axa)
PREMESSA
Vi sono viaggi che non si intraprendono per scelta o sulla spinta d’una folata improvvisa di entusiasmo o per il gusto di spaesarsi in un altrove sconosciuto, bensì si originano per una necessità impellente di fuggire e di fuggire dalle persecuzioni poliziesche di Stato… a quel punto il viaggiatore, l’esploratore – o la loro figura sbiadita e tetra, il turista – s’incarnano nel fuggiasco, l’evaso, l’impenitente che per non vedere la propria libertà ridotta a mera e mesta fantasia dietro le metalliche sbarre di una prigione, balza da un luogo all’altro, sempre intento a disseminare gli inseguitori, dissimulando le proprie tracce.
«Ma fuggire non è viaggiare!» esclamerà un probo lettore, «Viaggiare implica una certa lentezza nello sguardo, una certa noia da flâneur che permetta di creare la necessaria distanza tra un sé osservatore e il mondo osservato… tutte cose che il fuggiasco non si può permettere! Giacché vivendo in uno di costante allerta e panico, sempre intento ad occhieggiare di qua e di là per verificare che qualcuno non lo stia pedinando, come potrebbe prendersi il tempo, in simili condizioni, di galleggiare in quell’assorta e placida sospensione che contraddistingue lo stato d’animo del viaggiatore? Come potrebbe interessarsi al mondo, dal momento che ne è braccato? È assurdo! Sarebbe come immaginare una lepre incalzata da una muta di cani sguinzagliati al suo inseguimento, che in piena corsa, scorgendo un fresco e delizioso germoglio, si fermasse di colpo ad assaggiarlo – e questo neppure per una fame impellente, bensì per il solo gusto dell’esperienza, per deliziare e titillare un suo raffinato appetito estetico!».
«Certo» si risponderebbe a questo incauto lettore «ma perché forse non si conosce Zo d’Axa e il suo fluttuante stile di approcciarsi alla vita come in certi koan zen…»
«Che roba è?»
«Cosa?» «Zo Zazzà là e kansen???»
«Zo d’Axa e i koan zen?»
«Eh sì, quella roba là…»
«Il koan zen è quello delle tigri e della fragola… Zo d’Axa fu scrittore-reporter-giornalista ed altro, che in un certo modo, tale koan l’ha incarnato, rispondendo così al vostro dubbio di come un fuggiasco possa al contempo doppiarsi in viaggiatore-esploratore…»
«Va bene, va bene, ma andiamo per ordine!» «Da vuole vuole iniziare?»
«Faccia lei, ma sì faccia con ordine» «Benone, obbedisco!…»
«E dunque?»
«Dunque v’era un uomo che camminava in un campo, quando si imbatté in una tigre. Si mise a correre, tallonato dall’animale e giunse fino ad un precipizio, da cui, senza poter far altro, saltò giù arrampicandosi alla radice di un arbusto che sporgeva, lasciandosi penzolare oltre l’orlo, nel vuoto, mentre la tigre lo fiutava dall’altro. L’uomo guardò giù sperando in una via di fuga, che presto si rivelò impraticabile, perché oltre all’altezza del precipizio, si aggiungeva la presenza di una tigre che di sotto lo aspettava per divorarlo. Reggendosi alla radice dell’arbusto, che sola lo sosteneva, l’uomo si afferrava con entrambe le mani senza saper cosa fare, quando giunsero due topolini, uno bianco ed uno nero, che cominciarono a rosicchiare pian piano la radice dell’arbusto, che dopo un certo tempo si sarebbe di certo spezzata. L’uomo, guardandosi intorno si accorse che accanto alla radice a cui stava appeso, una bellissima fragola selvatica, bella matura, tutta rossa rossa, pendeva dal suo rametto, dondolando delicatamente al ritmo della brezza. Restando appeso con una sola mano, con l’altra spiccò la fragola. Com’era dolce!»
«Eh? Finisce così?»
«Ora, come vede, nel momento del più estremo pericolo, esiste sempre la possibilità di assumere quel necessario distacco di cui parlava lei, e che a suo avviso deve contraddistinguere un viaggiatore…»
«Sì, ma la sua storiella è assurda!»
«Crede davvero? Ebbene, il soprannominato Zo d’Axa è la prova cogente che non vi è nulla di assurdo in questa storiella…»
«Me lo dimostri!»
DIMOSTRAZIONE
Siamo nella Francia di fine XIX secolo, momento cruciale nella storia europea, sopratutto perché le sommosse sociali si sono fatte via via più acute, fino a toccare la punta più ardente col movimento anarchico che, dopo il congresso di Lione, ha deciso, per una buona parte, di abbandonare le molli strategie riformiste e cominciare a praticare la via della – così venne ribattezzata – propagande par le fait, ovvero l’idea di propagare il credo e la pratica anarchica non più solo per mezzo di comitati e giornali, l’educazione e gli scioperi, bensì passare all’atto diretto e dinamitardo. Cominciano in Francia, e poi nel resto dell’Europa, gli attentati a sovrani e a primi ministri (su questa stessa scia, si ricordi Gaetano Bresci), o gesti dinamitardi per smuovere l’opinione pubblica. Lo Stato francese è sotto assedio e giunti all’attento di Ravachol, si decide di far passare di forza delle leggi che modifichino lo statuto legislativo vigente per permettere ai corpi di polizia di intervenire in maniera più rapida (e dunque aleatoria), non più con le dovute necessità di precauzione, ma con la mano pesante delle leggi speciali, le cosiddette «Leggi Scellerate» (per capirsi, a memoria, qualcosa di non dissimile dal Patrioct Act promulgato dalla giunta Bush in seguito all’11 Settembre). Si possono così non solo arrestare i colpevoli, ma imprigionare – in via precauzionale – i sospetti e sopratutto, sotto le pieghe più sottili della legge, viene colpita la libertà di stampa, poiché si reintroduce surrettiziamente il delitto di opinione. Ed è per questo che Zo d’Axa, viene gettato in galera. Direttore infatti di un giornale che vanta eccellenti collaborazioni, l’En-Dehors, viene accusato di aver istituito tramite esso, una sottoscrizione in difesa di Ravachol ed inoltre, di aver incitato all’assassinio di membri del parlamento (a breve distanza il primo ministro Carnot morirà per mano di un anarchico).
Zo d’Axa viene quindi sbattuto nella prigione di Mazas – ora smantellata – ma all’epoca piccolo fortino nel cuore della capitale francese. È qui che comincia l’avventura ed il viaggio di cui racconterà nel suo romanzo-testimonianza Da Mazas a Gerusalemme (ripubblicato da poco presso i tipi di «Ortica editrice» – insieme ad un importante compendio di articoli e interventi tratti dai suoi due giornali, il già citato En-Dehors e il successivo La Feuille, nel volume Senza rotta, senza scopo). E da subito il tono è chiaro, l’attitudine ribalda, lo sguardo fiero ed il tono ardente – che son stati causa dell’arresto –, non diminuiscono di vigore e veleno dopo l’incarcerazione, anzi, questa serve solo da laboratorio sperimentale, da cui osservare, dall’interno, il funzionamento, e sopratutto confermare lo stato di inane stupidità su cui si sorregge il meccanismo oppressivo dello Stato e delle sue mediocri istituzioni. C’è spazio per una scena comica, coi secondini che scambiano una tartaruga per una bomba, o lo studio del padre di tutti i controlloti e inventore di tutte le sorveglianze biometriche (che ultimamente tornano di moda e si vorrebbero diffuse in un controllo capillare – si pensi al riconoscimento facciale) ovvero il «metromane» Alphonse Bertillon, inventore delle schedature poliziesche.
Tuttavia, dopo tre settimane di arresto preventivo, Zo d’Axa viene rilasciato in «libertà provvisoria» in attesa di giudizio, ma se nell’ottica dei carcerieri e del potere la prigione doveva servire per spaventare questa banda di riottosi, il risultato è invece l’esatto opposto – sopratutto in un tipo della tempra di Zo d’Axa –, che subito fuori redige due articoli incendiari, che nuovamente lo mettono sotto stato d’accusa. È a questo punto che il viaggio vero e proprio comincia, poiché, convocato al commissariato, Zo d’Axa preferisce «declinare l’invito» ed esiliarsi in Inghilterra. Ora, un esiliato e ricercato dalla polizia, avrebbe tutto l’interesse a non far parlare di sé, a starsene buono, rintanato, ed invece Zo d’Axa, anche in esilio, continua a far le pulci persino nel paese in cui è fuggito, e piuttosto che preoccuparsi dei fatti propri, ecco che la sua relazione di viaggio non si dilunga affatto sulla sua situazione di fuggiasco, bensì si studiano le condizioni di vita della classe povera, si visitano i quartieri in cui il sottoproletariato s’ammassa in una miseria da fame, oppure possiamo seguirlo, mentre assiste ad una vera e propria kermesse di socialisti, raduno di quei capi popolo che il “popolo” dovrebbero difenderlo, ed invece sulle spalle di tale popolo cominciano a costruire tutto l’apparato politico-partitico, che assicurerà loro e le generazioni successive, di mangiarci e ingozzarsi in tutta impunità – c’è pure la sorella di Karl Marx che spaccia e vende i libri del fratello, come in una sacristia si spacciano santini. Ed è facile che con la sua ironia ed il vizio di non star mai zitto, Zo d’Axa non ci metta molto a farsi dei nemici anche in Inghilterra ed eccolo pronto a ripartire, «senza rotta», recandosi al porto e prendere la prima nave in partenza, destinazione l’Olanda: «È a Blackwall che un mattino ho preso la nave per l’Olanda, senza grandi premeditazioni. Con pochi scellini in più in tasca, mi sarei anche potuto imbarcare benissimo per la Svezia o puntare verso Calcutta».
E da ora si seguono le sue peregrinazioni per mare, in terza classe, in compagnia di una gruppo di zingari musicanti in rotta per un tour europeo, e poi dopo l’Olanda, è la volta della Germania, attraversata lungo i fiumi, questa volta su una vecchia chiatta che trasporta merci. Costo del biglietto, «tre grappe». E si seguono così le sinuose linee del paesaggio tedesco, con le sue grandi foreste, le sue mura fortificate, sostando di tanto in tanto in qualche città, e poi di nuovo in mezzo alla natura «che parla. Capivo meglio il senso umano dei torrenti, dalle cascate che rimbalzano sulla larghezza levigata delle pietre, mi piaceva l’impeto delle acque rosse più ostinate incontrando l’ostacolo dei grandi alberi sradicati…» fino a ritoccare la terra ferma, e dal là, coi pochi spiccioli ancora in tasca, saltare su un treno in direzione Milano, dove invece di gironzolare per le vie del centro, immediatamente ci si interessa a due fanciulle arrestate durante una protesta di piazza, che con la loro fierezza, tengono testa al giudice ed ai giurati, rifiutando la loro legittimità, poiché rifiutano quella della società stessa. Zo d’Axa non può esimersi dal scriverne un articolo in onore del coraggio di queste fanciulle, e della loro testarda e pronta capacità a replicare alle accuse – che sicuramente gli ricordava il suo stesso mordente –, smontandole direttamente nel loro fondamento, ed ancora una volta farsi fermare dalla polizia, questa volta italiana, che è pronta a rispedirlo alla frontiera.
Zo d’Axa, sa che in Francia lo aspetta un ordine di arresto immediato, e chiede d’essere espulso a Trieste, all’epoca sotto il controllo austriaco, dove viene effettivamente portato dai carabinieri, tanto che, con la solita ironia, si chiederà «se, approfittando dei sospetti dei governi e beneficiando d’espulsioni successive – forze locomotive che vi trascinano da una parte all’altra dei paesi, non si potesse con un po’ di buona volontà riuscir a fare il giro del mondo… Sarebbe da tentare».
E a Trieste il mare chiama e rimanda profumi e sensazioni d’oriente, basta passeggiare lungo le banchine del porto «tra le grida e l’incessante via vai dei facchini, vi sono le pesanti balle di cotone che vengono scaricate, le casse d’arance e i panetti di datteri nei sacchi d’alfa. Vi sono le pelli di capro stranamente gonfie, il riso immacolato delle Indie, le banane e i legni odoriferi delle isole. E vi è anche quello che i marinai novizi portano gioiosamente dalle loro prime spese: la scimmia che saltella al laccio, i grandi uccelli multicolori. E il traffico dei mercanti che vendono corna di gazzelle, narghilè, fucili e le spoglie delle bestie delle giungle. Vi si scorge tutto l’Oriente…». E da Trieste si prosegue verso la Grecia, fino ad Atene e poi, senza svelare troppo le vicissitudini delle lunghe peregrinazioni, sarà la volta della Turchia, e poi di nuovo in viaggio verso la Palestina e Gerusalemme… dove infine, dopo peripezie degne d’un Buster Keaton, viene infine arrestato dall’ambasciata francese e rispedito in madre patria a bordo d’una nave da crociera, bersaglio degli sguardi dei ben pensanti che lo ammirano con quell’aria ruffiana tipica di chi si crede superiore, simile a quella che assumono gli uomini quando vanno alla zoo ad osservare uno scimpanzé in gabbia.
Qui abbiamo riassunto all’osso per non togliere il gusto della scoperta, ma questo viaggio per mezza europa, intrapreso per sfuggire alla giustizia, non ha nulla da invidiare ai viaggi in Oriente di cui è costellata la letteratura ottocentesca, sopratutto inglese e francese, si pensi solo ai viaggi di Flaubert e di Gerard de Nerval.
CONCLUSIONE
«Ebbene, caro lettore, l’ho convinta, che come nel koan zen, sia possibile fuggire, ma avere al contempo lo spirito di un viaggiatore-esploratore?»
«Beh, dovrei verificare andando a leggermi il libro…»
«Benissimo, e quando avrà in mano il volume, non si fermi al solo romanzo, prosegua lungo l’antologia di scritti tratti dai suoi giornali, dove tra un invito a disertare quella trappola che sono le elezioni, oppure a votare per l’Asino Nullo, scegliendo per una volta un asino vero, piuttosto che legittimarne altri di asini, o invitare i minatori in sciopero ad invadere le strade di Parigi, si giungerà poi a due articoli su altre relazioni di viaggio…» «Un diario di vacanze?»
«No, due articoli che Zo d’Axa scrisse imbarcandosi su uno dei transatlantici che portavano gli europei verso le coste americane, con una particolare attenzione al primo porto di sbarco… l’isola di Ellis Island, in quello che oggi chiamiamo “centro di accoglienza”, dove venivano smistati i migranti… tra cui non potrà non colpirla la sorte della povera donna incinta piemontese rispedita indietro, o quella di tanti altri disgraziati che vengono beffati da preti, questurini e mafiosi, uniti in quell’amorevole associazione a delinquere che viene denominata società…»
«Benissimo, vado a procurarmi il libro, poi le farò sapere, grazie!»
«Si figuri, grazie a lei».
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