Lasciare terra e la vita di tutti i giorni per tre lunghe ed intensissime settimane. Lontano dai suoni della civiltà, notifiche dei social incluse. Il giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz l’ha fatto davvero, trovando giaciglio in un luogo magico sperduto nel Mediterraneo.
Come cambia il tempo in base al contesto in cui siamo inseriti. Sembra questo il sottotitolo adatto a quest’opera, un vero e proprio esperimento sociale messo in atto dal grande scrittore e reporter di guerra Paolo Rumiz. E’ il 2015 quando il giornalista triestino accetta l’invito a trasferirsi per tre settimane sul faro di un’isola deserta, nel pieno del Mediterraneo, insieme agli altri due faristi dell’isola. E’ un viaggio profondo, alla ricerca di se stessi, lontani dalle convenzioni sociali che plasmano la nostra quotidianità a discapito del nostro spirito.
Lo scrittore trasmette uno stato assoluto di grazia, con le giornate che scorrono lente dedicate all’ascolto della natura, all’osservazione del mare e la riscoperta del centro del mondo, inteso come il punto più profondo dentro ognuno di noi, il punto più difficile da ascoltare.
Una lettura che invita l’uomo a riavvicinarsi alla natura, ad abbandonare il web e gli strumenti tecnologici, che hanno totalizzato le azioni della nostra vita quotidiana, per tornare a sviluppare la capacità di stupirsi, di ascolto, di comprendere il silenzio ed i suoni a cui non siamo più abituati a destare attenzione.
E’ uno stato d’estasi e meraviglia perenne quello che traspare dal libro. Rumiz è come un bambino che scopre un gioco incantevole e che non vuole più lasciare. Ma è il tempo il protagonista di questa opera. Non più inteso come un orologio che scorre con gli impegni da adempiere, ma una totalità di significati che va dalla memoria all’osservazione della natura circostante, dall’introspezione all’apprendimento dei più svariati significati umani. Il tempo è il padrone delle nostre società, si è preso la nostra creatività, la nostra riflessione, la nostra meditazione. E’ questa la grande sfida che ci pone il mondo iperconnesso di oggi: se da un lato abbiamo possibilità inimmaginabili di movimento e comunicazione (pensate a quando una persona dice che andare in Nuova Zelanda è troppo lontano perché ci vogliono trentasei ore di volo), dall’altro questo progresso ci sta portando a perdere contatto con la natura che è l’essenza del mondo in cui viviamo, e che stiamo riducendo ad una questione da tempo libero.
Seppur velatamente, il libro di Rumiz è una critica feroce al progresso tecnologico che tende ad eliminare ogni forma di spiritualità nell’uomo contemporaneo. Come la nascita del Gps nella navigazione di oggi, che toglie all’uomo di mare la gioia interiore di quando arrivava su un’isola e trovava il faro illuminato. Quella gioia era anche il motore che spingeva a continuare a conoscere, a navigare, a credere nella forza dello spirito. Adesso c’è un pulsante, un disegno elettronico su uno schermo, un segnale di accostamento che si illumina. Nessuna emozione, nessun risalto al mistero della vita. Semplice esecuzione da pura macchina.
Il vero viaggio è dentro di noi, nella ricerca costante delle emozioni. Di un noiinteso come capacità di comprendere gli elementi che ci circondano, di un noiche è parte di un disegno complesso ed affascinante, arcaico e primitivo. Il viaggio è rivelazione, giovinezza, stupore. Nel nichilismo contemporaneo che riduce l’uomo a semplice individuo, la natura è una forza dimenticata e rivoluzionaria, l’unica che può portare alla salvezza nella disgregazione spirituale che viviamo ogni giorno a favore del materialismo alienante.
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