Da alcuni anni la Voland ha lanciato, all’interno della sua collana “Finestre”, delle guide ribelli di molte città in Europa. Scritte con acume, estro e profonda ricerca, incarnano il perfetto antagonista letterario del modello lonely planet, e ridonano al termine Guida un significato di conoscenza ed autorevolezza, che permette al lettore di apprendere storie e fatti della città che le hanno dato un’anima. Ne rivoluzionano il contenuto, non più un insieme di consigli su luoghi dove andare a spendere, locali alla moda, musei dove turisti guardano turisti, ma una mappatura della città che ne segue le storie dei suoi personaggi più mirabolanti e stupefacenti. Guide che seguono il cammino dell’intelletto e dell’arte. E tramite la lettura di queste personalità si impara ad apprezzare l’anima più pura di una città, i suoi sentimenti più nascosti, i suoi legami più indissolubili.
Ho letto quella su Berlino e ne sono uscito veramente euforico. Suddivisa per quartieri, la si potrebbe seguire passo dopo passo pagina dopo pagina, per stupirsi continuamente delle scoperte ad ogni angolo. Potresti trovare una targa commemorativa ogni piè sospinto, sapere che vi han soggiornato Bakunin, Marx e la Luxembourg, che i suoi abitanti sono sempre stati pronti a combattere per l’alloggio sociale, oppure scoprire i più incredibili metodi che ingegnosi uomini semplici hanno inventato per attraversare il muro. Una città che ha nel suo dna la resistenza, il pensiero profondo, una creatività infinita e che non si arrende mai, neanche dopo che viene bombardata e rasa per buona parte al suolo, neanche dopo che viene divisa per ventotto anni dal muro dell’intolleranza ideologica. Un insieme di politica, gruppi musicali underground, rivolte, rinascite, separazioni, creatività scientifiche, movimenti avanguardistici, un numero impressionante di personaggi che hanno fatto di Berlino la loro casa e che in essa han trovato un costante flusso motivazionale, sia che fossero dei movimenti operai, che gruppi punk formatisi nel degrado urbano, che uomini e donne coraggiosi che han combattuto il nazismo prima ed il muro dopo, tutti loro sono Berlino, tutti loro sono noi che visitiamo Berlino.
Intervista agli autori Roberto Sassi (R) e Teresa Ciuffoletti (T)
D: Come nasce l’idea della guida ribelle e quanto tempo è durata la ricerca?
T: Avevo già lavorato per Voland come traduttrice e mi era stato chiesto in via informale di cercare una guida di Berlino da tradurre per la serie delle “guide ribelli”. Quello che sono riuscita a trovare allora non mi ha convinto, in compenso sapevo che Roberto ha un talento raro per la narrazione e che, più nello specifico, sa scrivere di città. Per natura la osserva con uno sguardo che unisce l’acume del sociologo urbano alla sensibilità del romanziere, fa proprio parte del suo modo di viverci. Gli ho proposto di scrivere una guida ex novo e lui mi ha incastrata come complice. Abbiamo scritto un capitolo di prova nell’autunno del 2015 e da aprile a dicembre 2016 il resto del libro, ovviamente non a tempo pieno, ma lavorando a ritmi “matti e disperatissimi”.
R: Quando Teresa mi ha suggerito di propormi alla Voland come autore di una Guida alla Berlino ribelle, ho subito pensato che scriverla insieme avrebbe arricchito enormemente il testo. Ero arrivato in città da appena tre mesi e stavo ancora cercando di orientarmi sia a livello linguistico sia dal punto di vista dell’esplorazione urbana. Lei invece era a Berlino già da alcuni anni, lavorava come traduttrice letteraria e per questo era (ed è) molto attenta al processo di scrittura. Per farla breve: mi è sembrata la coautrice perfetta. Nel complesso abbiamo impiegato circa un anno per mettere insieme i dodici capitoli del libro. Vista l’enormità di fonti in diverse lingue che si possono reperire sui luoghi e i personaggi che abbiamo raccontato, non è stato per niente facile mettere un punto definitivo a ogni storia. Emergevano costantemente nuovi aspetti e nuove prospettive interessanti.

D: Nella vostra guida parlate di fatti e storie degli ultimi duecento (o forse più) anni della città. Nel nostro immaginario più recente Berlino è quella di un muro che si sgretola, esattamente trent’anni fa, e diventa icona cosmopolita. Ma era tutto così male nella DDR? Non c’è proprio nulla che oggi i tedeschi rimpiangono di quel periodo?
T: Certo che c’è, tanto che hanno coniato un termine apposito per questa forma di rimpianto nostalgico (e pensare che in tedesco esistevano già tre parole diverse per parlare di nostalgia, a seconda del tipo di struggimento): nei primi anni ‘90 è spuntato il neologismo Ostalgie, dove “Ost” significa “Est” e si riferisce appunto alla DDR. Immagina che da un giorno all’altro il Paese in cui hai vissuto per decenni non esista più e con esso scompaiano tanti degli elementi costitutivi della tua esperienza quotidiana. Immagina che la promessa di libertà dell’Occidente si sia rivelata deludente, che con il crollo del Muro sia crollato anche il sogno di un’alternativa possibile. A questa nostalgia la logica di consumo dell’Ovest ha risposto in termini di mercificazione (ti vendiamo questi articoli nostalgici), mentre l’intera esperienza della DDR viene spesso bollata con l’etichetta del totalitarismo e liquidata in blocco. Per questo il Muro è così iconico, perché era un segno tangibile della coercizione del potere, mentre i “muri” di oggi sono più difficili da localizzare.
R: Teresa menziona giustamente il neologismo Ostalgie, che viene spesso associato all’esperienza nostalgica di coloro che alla caduta del Muro erano già adulti e avevano vissuto gran parte della loro vita nella DDR. A mio avviso, bisogna fare un discorso un poco diverso per quella generazione di giovani che nel 1989 hanno preso parte alla cosiddetta Friedliche Revolution (Rivoluzione pacifica) e hanno contribuito al crollo del regime. Per loro la Germania unificata ha rappresentato la realizzazione di una vita che in precedenza potevano soltanto sognare grazie alle notizie che giungevano di soppiatto dall’Ovest. Non dobbiamo dimenticare che la DDR era uno stato socialista dotato di un apparato di sicurezza e di controllo estremamente radicato che impediva la libera circolazione di idee e persone. Nel libro abbiamo raccontato alcune ingegnose fughe a Ovest avvenute nei 38 anni del Muro. Tutti i protagonisti di queste storie, più e meno giovani, hanno qualcosa in comune: sono disposti a morire pur di non restare a Est.

D: Che andazzo sta seguendo il turismo a Berlino? Sta avvenendo l’airbnbizzazione della città che fa fuggire i residenti e le attività locali per affittare ai turisti ed aprire solo ristoranti e discoteche (come Barcellona ad esempio), oppure è una città che resiste anche in questo senso?
T: Premesso che entrambi non lavoriamo in questo settore, l’impressione che abbiamo è più vicina al primo scenario che hai descritto. A contrastare l’avanzata di queste tendenze ci sono i movimenti dal basso per il diritto alla casa e contro la speculazione edilizia. Forse Berlino ci ha un po’ viziati, perché chi veniva qui amava la sensazione di spazio e di possibilità che la città ti regalava. Ma era un’atmosfera legata a una certa contingenza storica e sarebbe ingenuo pensare che una situazione del genere possa durare per sempre, senza un impegno attivo dei cittadini nel costruire la città in cui vogliono vivere. Mi pare che i tedeschi nutrano più fiducia degli italiani nel processo democratico e siano più educati alla cittadinanza attiva, ma queste ovviamente sono generalizzazioni di una persona che non vive in Italia da quasi dieci anni.
R: Nella nostra guida ribelle ricordiamo l’iniziativa popolare che nel 2008 salvò il parco urbano di Tempelhof, nonché l’impegno dei berlinesi per evitare che una sezione del Muro nella East Side Gallery venisse rimossa per far posto ad appartamenti di lusso. Gli eventi di questo tipo proseguono ancora oggi: ad esempio, in questo inizio di 2019 si parla di una raccolta firme per richiedere un referendum sull’esproprio dei grandi fondi immobiliari. I promotori propongono la creazione di un’azienda comunale che imponga a chi possegga oltre 3000 appartamenti di rivenderglieli per metterli a disposizione di chi è alla ricerca di una casa. È innegabile che sia in atto un fenomeno comune ad altre città europee: i residenti di lunga data sono spesso costretti a lasciare le zone centrali, divenute troppo care, per trasferirsi nelle aree periferiche.
D: Dei tanti personaggi e fatti storici della guida, su chi scrivereste un romanzo? Tre nomi a testa e perché.
T: L’anarcopacifista Ernst Friedrich, perché per promuovere la pace impiegava metodi modernissimi e una retorica semplice e disarmante (perdona il gioco di parole). Una dedizione e un coraggio come il suo rasentano la follia, e per questo mi affascinano. Il secondo personaggio che mi viene in mente è Leopoldo Ferdinando D’Asburgo, per la sua storia assolutamente bizzarra: un Granduca che decide di rinunciare a tutti i suoi titoli nobiliari per perseguire i propri interessi (tanto romantici quanto intellettuali) ed essere artefice del proprio destino. Una scelta che lo costringerà a reinventarsi più volte nel corso della sua vita, da negoziante di generi alimentari a guida turistica, da portiere di un cabaret a scrittore e rubricista. E poi forse John Rabe, quello che noi chiamiamo “il nazista umanitario”, perché è una figura controversa. Quale mezzo migliore del romanzo per contrastare semplificazioni e manicheismi?
R: Amelie “Melli” Beese, la prima aviatrice tedesca, perché la sua storia ha tutti gli elementi per un ottimo romanzo: la lotta quotidiana contro un contesto sociale avverso, il genio come forma di sopravvivenza e infine il dramma di una vita che dà e toglie a suo piacimento. Il secondo nome è quello di Remo Remotti, un personaggio piuttosto noto nella scena underground italiana. Pochi però sanno che ha vissuto alcuni anni a Berlino, prima come assistente di Emilio Vedova e in seguito provando a farsi strada nel mondo dell’arte. Il suo movimentato periodo berlinese sarebbe davvero perfetto per un romanzo biografico. Il terzo nome è quello dello scultore e pittore Hans Bellmer. Basti pensare che, poco dopo la salita al potere di Hitler, millantò improbabili origini ebraiche soltanto per ridicolizzare l’adesione paterna al Partito Nazionalsocialista. A chi gli chiedeva perché realizzasse opere tanto provocatorie rispondeva: “Se l’origine delle mie opere è scandalosa, è perché per me il mondo è uno scandalo”.

D: Descrivete una Berlino eroica e mai doma, sempre pronta alla lotta ed all’amore. Ma come sta affrontando la città le grandi sfide della contemporaneità: la crisi dell’Ue, i flussi migratori, un partito di estrema destra in Germania come l’AfD che sembra proteso verso il 20%?
T: È una domanda difficile. Credo con la stessa caparbietà di sempre. A Berlino c’è una grande scena internazionale progressista, queer, antifascista, antirazzista e pure festaiola che scende in piazza ogni volta che l’AfD organizza una manifestazione. Ma ovviamente le contromanifestazioni non bastano ad arginare tendenze di così vasta portata.
R: Alle elezioni del settembre 2016 per la Abgeordnetenhaus di Berlino (il Parlamento della città) l’AfD ha ottenuto il 14,2% dei voti, ma le forze politiche moderate, nonostante una perdita consistente di elettorato, hanno dimostrato ancora una buona tenuta. Ad esempio, i Grüne (i Verdi) si sono attestati come primo partito nei distretti centrali di Mitte e Friedrichshain-Kreuzberg. Ovviamente sono trascorsi due anni e mezzo da allora e molte cose sono accadute sia sul fronte delle politiche europee sia per quel che riguarda i flussi migratori. La mia impressione è che Berlino stia rispondendo in modo adeguato a queste sfide tanto a livello politico quanto in termini di accoglienza. E se riuscirà a resistere al richiamo del populismo, potrà rappresentare un modello per altre città tedesche ed europee.
D: Per finire, Ton Steine Scherben o Feeling B? Meglio ribelli a Berlino Ovest o rivoltosi nell’ex DDR?
T: Feeling B, meno pretenziosi e più divertenti. Più punk insomma!
R: Dico anch’io Feeling B: suonare il punk nella DDR era davvero per pochi ribelli.
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