Stenio Solinas, giornalista e saggista romano, già in passato redattore capo de L’Europeo ed oggi editorialista de Il Giornale, è uno degli scrittori più raffinati del panorama italiano. Autore di numerosi libri di viaggio, tra i quali ricordiamo Vagamondo, L’ombra del tempo, Percorsi d’acqua e Da Parigi a Gerusalemme. Sulle tracce di Chateaubriand , ha scritto nel 2018 una biografia memorabile, edita Neri Pozza, su Wyndham Lewis, pittore e scrittore del primo novecento inglese, poco conosciuto in Italia, fondatore del movimento vorticista, personaggio costantemente controcorrente, generazione war poet, discepolo di Pound e portatore di avanguardie di pensiero che, forse, solo oggi possono cominciare a essere comprese, almeno in parte.
Lo abbiamo intervistato:
D.: Sig. Solinas cos’è il vorticismo di Lewis e come si distingue dal futurismo di Marinetti che lo stesso Lewis descrive come un «impressionismo accelerato» ?
R.: Il Vorticismo è un movimento d’avanguardia tipicamente britannico, contrario alla cultura tardovittoriana ed edoardiana imperante nell’Inghilterra fra fine Ottocento e primo Novecento, accademica e tronfia. Riprende dal futurismo, e dal cubismo, la scomposizione della forma, si distacca dal primo perché non interessato alla folla, al caos e, soprattutto, alla velocità e alla macchina, più focalizzato sullo spazio che sul tempo. Al fondo però è fondamentalmente una creazione di Wyndham Lewis, la sua idea di modernità artistica a petto del proprio tempo. Non crea una scuola, né una dottrina, non lascia eredi.
D.: Ne Il secolo breve di Hobsbawm il grande storico inglese parla di un unico periodo nero per l’umanità che va dallo scoppio della prima guerra mondiale al termine della seconda. Eppure leggendo il suo libro si scopre che il periodo di intermezzo tra le due guerre è stato un fermento continuo di movimenti artistici e di pensieri visionari. Dove si colloca Lewis in questo frangente?
R.: Gli storici hanno la tendenza a vedere il passato con l’occhio del presente: conoscono cioè ciò che è stato e quindi lo rileggono dandogli un senso e persino una logica. Ma i contemporanei del proprio tempo questa facoltà “divinatoria” non ce l’hanno e quindi la loro massima occupazione è viverlo, riempirlo, dargli un significato qui e ora. Noi sappiamo che fra le due guerre mondiali c’è uno spazio cronologicamente limitato, appena vent’anni, ma per chi allora ci si trova immerso vent’anni è una generazione e un arco di tempo che, per quanto appaia minacciato e minaccioso, si spera non vada in pezzi. Lewis lo vive con l’inquietudine di chi ha visto la Grande guerra mandare all’aria il suo rinnovamento artistico. Ci mette un decennio per elaborare un nuovo sguardo critico-artistico, ma intanto sono arrivati gli anni Trenta dei totalitarismi e dell’impegno intellettuale. Non ama né i primi né il secondo, né la società di massa. Vi si oppone, ne uscirà sconfitto.

D.: Nel libro si parla degli anni venti del novecento in cui si sviluppa, nell’Inghilterra del post guerra, una straordinaria generazione di scrittori di viaggio, tra cui spicca il capolavoro I sette pilastri della saggezza di T.E. Lawrence (il leggendario Lawrence d’Arabia), grande amico di Lewis. Cosa spingeva questi scrittori a ricercare l’esotico e come vede la scrittura di viaggio oggi a un secolo di distanza?
R.: Schematizzando, è una sorta di rinascita spirituale e la fuga da un Paese considerato orribile per il grigiore del clima e il filisteismo delle idee: E’ opera di giovani reduci intellettuali della Grande guerra e dei loro fratelli minori che la Grande guerra l’hanno vissuta nelle ristrettezze e nei lutti della vita civile. E’ la ricerca di un “altrove” esotico, erotico, etico, individuale, in un’epoca in cui per un inglese che aveva una valuta forte e la metà delle navi del mondo a disposizione, “viaggiare era un piacere”. Quanto alla letteratura di viaggio oggi, è un po’ un controsenso: viaggiamo tutti, non esistono più luoghi da scoprire, siamo sempre e comunque interconnessi…Ciò che potrebbe e dovrebbe fare la differenza, è la qualità della scrittura e la capacità di avere un occhio diverso, e insieme un occhio colto, nuovo nel suo essere disincantato. E’ sempre più letteratura, forse, e sempre meno viaggio, ma non c’è il bilancino del farmacista con cui misurare le giuste dosi. Così resta una scoperta. E una conquista.
D.: «L’eterno come costante e non il moderno come sua variante eternizzata» e «l’azione non deve rubare spazio al pensiero», sono due citazioni che potrebbero sintetizzare il pensiero di Lewis?
R.: Direi di sì. Lewis è una mente astorica, cioè classica, e come artista è portato a vedere, non a interiorizzare. E’ uno scrittore che rifiuta il romanzo psicologico e un pittore che cerca nelle linee la vera profondità del soggetto.
D.: Cosa spinge Lewis prima a rigettare il comunismo, visto più che altro come una moda che seguono gli intellettuali inglesi, per poi appoggiare il nazionalsocialismo dando alla luce l’opera Hitler nel 1931 (il suo libro meno letto e più citato)?
R.: Lewis non appoggia il nazionalsocialismo, da lui del resto considerato un fenomeno tipicamente tedesco. Ci scrive sopra un libro, nel 1931, quando Hitler non è ancora andato al potere, per raccontare agli inglesi che cosa si sta verificando in Germania. Vede nelle sanzioni economiche contro questa nazione, frutto del trattato di pace di Versailles punitivo per la Germania, un pericolo: alimentano uno spirito di rivincita e preparano nuovi focolai di distruzione. In questo è un buon profeta, ma il suo Hitler è un reportage, a tratti simpatetico, non un testo ideologico. Quanto al comunismo, non c’è nulla che lo attragga: è materialista, è contro l’individuo, mira alla massificazione e all’indottrinamento, non crede alla superiorità dell’artista…
D.: E’ già palese nell’artista la critica alla società di massa che sta germogliando: dove mode e consumi vengono sapientemente usati per trasformare apparenti scelte individuali in reali schiavitù collettive. Se lo dovessimo collocare nella vita politica di oggi, con chi starebbe secondo lei?
R.: Con nessuno, ovvero con sé stesso, come è stato per tutta la sua vita, “nemico pubblico” del proprio tempo. Era idealmente un uomo del Rinascimento.
2 Comments
Elegante, raffinato, colto ….Stenio Solinas riesce ancora una volta, nonostante i tanti anni trascorsi a leggerlo, ad entusiasmarmi…
Concordo appieno Teresa, e lo ritengo uno degli intellettuali di più alto spessore che ci siano oggi in Italia. Grazie del commento