Articolo di Arianna Caviglioli
Fotografie di Lorenzo Merlo
Ventitremila chilometri in centotredici giorni, verso l’Afghanistan e ritorno. Tra antichi borghi forieri di storia, incontri inaspettati, briglie istituzionali e incandescenti striature di sabbia. Impossibile renderne l’idea con una frase o poche battute, necessario trasformare quell’avventura in un’opera narrativa: Essere Terra. Viaggio verso l’Afghanistan. Il libro racconta il viaggio, di andata, che il giornalista e fotografo Lorenzo Merlo realizza nel 2012, dove verso suggerisce la difficoltà di raggiungere un territorio martoriato dai conflitti e vittima di stereotipi occidentali.
La pianificazione dell’itinerario non rispecchia un classico canovaccio turistico da un tempio alla moschea successiva, da una basilica a una capitale, né è pensato per seguire le vie più sicure e percorribili. La strada segue un filo conduttore letterario. Merlo va infatti alla ricerca di quei luoghi resi simbolici dal passaggio di tre scrittori europei dello scorso secolo: Annemarie Schwarzenbach (1908, Zurigo,1942, Sils im Engadin, Svizzera), Ella Maillart (1903, Ginevra, 1997, Chandolin, Svizzera) e Nicolas Bouvier (1929, Lancy, Svizzera, 1998, Ginevra, Svizzera).
“Loro, che erano fratelli, che mi avevano obbligato a raggiungerli la, che mi avevano assistito. Loro, che avevano saputo creare la combinazione di parole per raccontare nei libri i colori rimasti negli occhi e gli occhi rimasti nel cuore. Racconti da far rabbrividire i diplomatici di oggi; tensioni per nulla ammorbidite dai successivi decenni di saggezza europea; consapevolezza di egemonia occidentale gia allora evidente, gia allora in opera, gia allora vergognosa; incontri con meraviglie culturali e umane, geografiche e storiche. Che viaggi erano stati. Che giusto averli invidiati, cercati, inseguiti. Che bello averli amati”.
Essere terra. Viaggio verso l’Afghanistan
Un itinerario dalla castellatura curiosa che si dirama per seguire le tracce dei tre scrittori, levigate dal tempo e alterate dai processi storici. Un racconto da leggere tutto d’un fiato, fermando lo scorrere del tempo per immergersi in quattrocentonovantadue pagine euroasiatiche.
Lo stile narrativo è quello di una poesia chirurgica, che fa accomodare il lettore direttamente accanto a Lorenzo nel defender – unico vero compagno di viaggio dell’autore, “ammirato dai bambini e sospetto tra i grandi”: troppo simile a un mezzo militare per entrambi.
“Il defender avanzava come un’astronave priva di attriti, penetrando come un granello nel cosmo d’oriente, luminoso, scarno”.
Essere terra. Viaggio verso l’Afghanistan

Partendo con la scoperta della fiera e geometrica Trieste, rigenerandosi su quei “troni dove si racconta la vita” che sono le panchine dell’ex-Jugoslavia, il lettore intravede con amarezza quelle tag d’odio con cui gli spray cetnici e ustasa hanno vicendevolmente stuprato le carcasse edilizie nemiche durante i recenti conflitti balcanici, per poi risalire in paradiso accompagnato da note gitane:
“Nel mio immaginario, quelle vite, sarebbero uscite dalle musiche, dalle canzoni e dal serpeggiare di pupille nere di uomini che stanno insieme al fango e al niente, e cantano la vita. In giacca e cravatta, o quello che hanno, sul cassone del carro, col sedere sdrucito, dietro il fiato caldo di ossute bestie pazienti, scarpe a punta e suola sottile, anche bianche e nere e comunque libere dalla paura del freddo e di insozzarsi, con le fisarmoniche a fianco, ancelle di vite estrosamente sfacciate, pronte al malinconico assalto ad un ottone, come i coltelli e i fucili, pronti a fare la festa più che ad andarci, a sparare per aria più che ai nemici. E galline ruspanti, camicie state candide, mai a misura, girotondi garantiti per chi c’e”.
Essere terra. Viaggio verso l’Afghanistan
Il lettore prosegue perdendosi nei profili vulcanici del lago turco di Van, tra i resti del Muro d’Alessandro, e nelle trame raffinate dei Gabbeh (Tappeti del sud dell’Iran), fino a raggiungere il tanto bramato paesaggio afghano:
“Ottanta percento montagne; venti percento deserti; l’aridità semi assoluta; la vegetazione limitata ai contorni degli alvei; la pochezza di strade; i collegamenti duri e lenti. Non sono solo una sintesi statistica, sono paesaggi geografici che hanno fatto la storia, e sono necessari per comprenderla. Una geografia che spiega i pochi contatti tra comunità; che permette di capire come le norme e le esigenze di una possano scontrarsi con quelle di altre, al di là delle montagne, lontane giorni a dorso d’asino lungo piste desertiche e inverni esiziali”.
Essere terra. Viaggio verso l’Afghanistan
Considerazioni intimistiche su territori, popoli e culture si alternano a inquadramenti storici che non lasciano spazio a tendenze eurocentriche, ma al contrario le denunciano senza garbate parole. Come per il Kosovo, “dolore immanente, amputazione senza opzioni di risarcimento”, anche in Afghanistan – già Vietnam dell’Unione Sovietica nel 1979 – l’Occidente ha assassinato la comunità indossando una maschera buonista. Le cosiddette “missioni umanitarie” non hanno fatto altro che incrementare il fanatismo religioso e la corruzione epidemica, per non parlare dei danni culturali causati dalla cieca importazione di modernità.
“In pochi anni i trilioni di dollari occidentali in aiuti militari avevano cresciuto nettamente l’estrema povertà. Anche a Herat, perla del passato, fiore all’occhiello di un Afghanistan colto e all’avanguardia – nonostante le migliaia di miliardi di euro e le apparenti parole della democrazia – si assisteva ad un evidente incremento di poveri veri, quelli che si accucciano lerci come fuochisti a fianco dei cassonetti. Una scena convincente per restare perplessi nei confronti del cosiddetto intervento occidentale. Nessun altro argomento era riuscito a dimostrare cosi efficacemente cio che tanti stimati convegni di illuminati avevano tentato di nascondere”.
Essere terra. Viaggio verso l’Afghanistan

Profumi nauseanti, completini sexy nelle vetrine e insegne luminose hanno iniziato ad assuefare quei luoghi che Lorenzo aveva creduto ancora pii come nei libri di Schwarzenbach, Maillart e Bouvier. Per fortuna molte bellezze centrorientali sono rimaste ancora intatte e si possono respirare boccate d’aria pura nella torre dell’onirico Minareto di Jam, tra la frutta secca dei bazaar di Kabul e soprattutto nei piccoli villaggi.
“Ammiravo la disposizione delle case, la cura delle rifiniture, i particolari degli infissi, delle porte, la geometria di muri e pareti, i tetti piatti. Era la mia lente deformata a darmi quel piacere o tutti avrebbero visto il registro armonico di quelle comunita? La successione prolungata di piccole vallate percorse da acque mai imbrigliate da sponde artefatte, era un ritornello di serenita. Un mondo silenzioso, cantato dal vento, nel quale uomini e donne si muovevano seguendo le vite sulle orme dei loro avi. Le donne erano regine, in costumi di tessuti a fondo rosso e colori solari”.
Essere terra. Viaggio verso l’Afghanistan
Ma il viaggio di Merlo è anche interrotto da inaspettate contingenze burocratiche, che trasformano la delicata trama del libro in un groviglio kafkiano. Dopo ore sudate alla frontiera tra Iran e Afghanistan, l’ambasciata italiana elabora infinite congetture per impedirgli di raggiungere Kabul, dato che come non esita a confessare il giornalista Faisal Karimi: «It’s too much dangerous. It’s not possible to reach Kabul driving your car». In effetti, ci vuole coraggio ma anche ottusa ostinazione nel compiere un viaggio con la sentinella costante che tutto potrebbe degenerare in arresti, rapine o peggio ancora violenti sequestri. Ma d’altronde, era l’unica via per Essere Terra.
Ogni visitatore che non vorrà essere terra tenderà a corromperlo spianando la strada all’inesorabile mannaia della modernità, che passerà a mietere tradizioni, a imporre consumi, a distribuire cioccolatini e telefonini, ad addomesticarlo, fino a renderlo accessibile a pullman pieni di camicie colorate, riempite di corpi in bermuda a caccia del pittoresco.
Essere terra. Viaggio verso l’Afghanistan

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