Di Davide de Falco
Da buon viaggiatore dello Stivale sono cresciuto a bordo dei treni. Ricordo nostalgicamente le tratte che in regionale mi portavano da mia zia ad Ascea, dai miei amici a Scauri, o il primo magico viaggio in gruppo da Napoli fino in Sicilia a bordo di un Intercity notte completamente
vuoto. Leggere dell’esistenza di un libro dal titolo “L’Italia in seconda classe” mi ha immediatamente fatto ripensare a quello che è stato l’unico mezzo di trasporto utilizzato nella mia infanzia per andare in vacanza: il treno. E soprattutto, scoprire che la penna che ha dato vita a questo libro è stata quella di Paolo Rumiz non mi ha fatto esitare un istante nel decidere di leggere questo lavoro letterario. L’idea di questo piccolo manuale di letteratura di viaggio è quella di descrivere l’Italia attraverso la sua rete ferroviaria. Le condizioni da seguire per intraprendere il viaggio sono solamente un paio, e rendono la trama più innovativa e sofisticata di quanto il titolo suggerisca: bisogna evitare tratte ad alta velocità, viaggiando rigorosamente in seconda classe, e vanno percorsi lo stesso numero di chilometri della Transiberiana che corre da Mosca a Vladivostok. Che idea quella di Rumiz!
Un’idea corsara. Percorrere 7480 chilometri, come la Transiberiana dagli Urali a Vladivostok. Una distanza leggendaria, un gomitolo lungo come l’Asia da srotolare dentro la Penisola.
Un’idea folle, che realizza un sogno a cui molti viaggiatori hanno spesso pensato ma che sembra sempre troppo difficile da realizzare. Attraversare tutta la linea ferroviaria italiana, ma farlo in grande stile visto che non basta solamente andare da nord a sud ma a tale tratta vanno aggiunti
diverse migliaia di chilometri per raggiungere la quota prestabilita. Inoltre, il boicottaggio dell’alta velocità non riguarda solamente i treni ma si riferisce anche ad un altro mezzo di trasporto che ha trasformato l’intero concetto di viaggio negli ultimi decenni: l’aereo.
L’aereo è globale, totalitario, imperscrutabile. Sta in cielo, e il cielo è di nessuno. La rete di ferro, invece, è di tutti. È il popolo, la nazione. Il treno, non l’aereo, ha fatto l’Italia.
Paolo Rumiz si offre così al suo pubblico di lettori-viaggiatori come un innovatore della letteratura di viaggio contemporanea. Il suo personalissimo grand tour d’Italia, in compagnia di un anonimo 740 (un nome che rappresenta uno dei tanti tributi ferroviari contenuti nel volumetto) diventa un elogio della rotaia, della sua andatura unica ed inimitabile. A tratti veloce, altre volte tanto lenta quanto immobile. La bellezza dell’esplorazione tramite finestrino (ma anche dalla cabina del macchinista) viene dipinta da sagge descrizioni che la penna esperta di
Rumiz ci offre.
Il treno si ferma in stazioncine deserte senza capostazione, senza biglietteria. Alcune sono murate, altre distrutte dai vandali. […] Sono i rami secchi, potati dai governatori dei flussi. […] Stazioni “impresenziate”, astuto eufemismo per mascherare lo smantellamento. Sono infinite le località nelle quali i nostri eroi si trovano a passare: cominciando dalla Sardegna e passando per la Sicilia, risalendo la spina dorsale dell’Italia fino al profondo nord dove il viaggio troverà la sua fine una volta raggiunti il giusto numero di chilometri. Per i siciliani, il treno è solo una cosa che ti strappa alla terra, ti porta via per una vita. […] I segreti in Sicilia lì sanno tutti, altrimenti che segreti sono? Le descrizioni fanno viaggiare il lettore da un paesino abitato da poche anime ad un altro, attraverso paesaggi naturali unici, sfiorando grandi metropoli o semplici città di passaggio. Treni completamente vuoti, atmosfere sospese nel tempo, una rete ferroviaria che rivela l’anima più pura del paese, sono questi alcuni dei protagonisti di questo resoconto. Ma sono veramente numerosi gli aspetti affrontati dalle pagine scritte da Paolo: la continua evoluzione delle ferrovie nel tempo, l’attitudine odierna nei confronti del viaggio che deve essere sempre più rapido, le migrazioni spinte dalla mancanza di lavoro e con questo il problema della disoccupazione – soprattutto nel sud Italia. “L’Italia in seconda classe” non è solamente un resoconto di viaggio, è anche un manuale di sociologia, di storia contemporanea, di giornalismo. Se guardi solo le stazioni, non ti accorgi che la Sicilia si svuota. Oggi i nostri emigranti partono in corriera. Percorsi come Mirabella Imbaccari – Amburgo, Petralia Sottana – Milano, Prizzi – Francoforte. Vanno via nascosti, blindati, air conditioned, come polacchi e marocchini. Si sparano verso l’Europa ricca che vota a destra e non li vuole.
Un libro che in diversi passaggi funge da storia d’Italia e delle sue ferrovie, dei paesaggi e delle città. Un elogio del viaggio in quanto tale, senza soffermarsi necessariamente sull’importanza che ogni singolo incontro possa avere. Viaggiare perché si ha la fortuna di farlo, e la possibilità di vedere quello che il belpaese ha da offrire.
Il Vesuvio è un vulcano metropolitano. Tra il cratere e le rotaie c’è distanza minima. La gente o vive con intimità, confidenza. E il treno passa tra gallerie e giardini di limoni, stratificazioni di terrazze, case e balconi “‘n coppa o mare”. L’intasamento è pazzesco. Una giungla irriformabile.
Rumiz rappresenta un faro a cui fare riferimento nel continuo navigare tra le pubblicazioni inerenti la letteratura di viaggio. Le pagine di “L’Italia in seconda classe” porteranno ogni lettore in un viaggio già vissuto ma allo stesso tempo completamente nuovo. La grande bellezza del
paese – e del viaggio in treno – viene offerta nuda e cruda a chi è capace di coglierne l’essenza. E perché no, questo volume potrebbe anche ispirare qualche suo lettore a ripercorrere le stesse orme dello scrittore triestino.
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